La Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo

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La Giornata della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo

Le giornate celebrative su grandi tematiche si succedono a cadenza quasi quotidiana. Si corre il rischio di appannare attenzione per le grandi questioni. Come quella della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo istituita dall’ONU nel 2002.

La cadenza annuale delle celebrazioni può dare l’idea che il tema proposto sia ormai un’acquisizione da parte delle istituzioni e della stessa opinione pubblica. Salvo poi verificare quanto esse incidano nelle scelte concrete di Stati, Istituzioni e sulle convinzioni delle singole persone.

Il momento che viviamo è segnato profondamente dalla pandemia in corso. Insieme a testimonianze di tanti che hanno manifestato in modi diversi la sensibilità verso l’altro, si sono avuti diversi segnali di come il dialogo e la solidarietà tra i popoli venga subordinata a interessi nazionali. Fino alle note esternazioni di capi di stato “prima noi”, in Europa come altrove.

Bisogna constatare, con realismo e responsabilità, come non sia scontato che l’umanità proceda secondo quanto le belle prospettive lanciate da organismi internazionali. I sentieri che sembravano condivisi, non siano contraddette da rigurgiti di chiusura su se stessi e dal ripiegamento sui propri consolidati interessi. Reazioni istintive, forse difensive. Che alimentano però il sospetto che la condizione dell’altro così come la valorizzazione della diversità culturale, debbano restare nel ristretto ambito di interessi che poco o nulla hanno a che vedere con un reale cambiamento dei rapporti tra i popoli. Tantomeno influire su reali cambiamenti per un autentico sviluppo di tutti.

Le iniziative come cinghie di trasmissione

È il motivo che spinge a pensare a questa celebrazione come occasione per valorizzare iniziative, scambi, collaborazioni tra associazioni e gruppi. Incontri che assumono il ruolo di necessarie cinghie di trasmissione. Qualcosa che avviene anche con esperienze locali, come quella di Villa Fernandes. Non è sufficiente attendere scelte politiche che prendano sul serio quanto il tema della giornata addita come un traguardo di civiltà. È frutto piuttosto di un progetto culturale che va messo in moto e portato avanti su tanti fronti. Primo fra tutti quello della educazione.

Si educa e ci si educa all’accoglienza delle differenze culturali con un’apertura autentica al dialogo.

Si tratta di avviare processi piuttosto che attendere occasioni improbabili. Processi da portare avanti insieme, sui territori, per sviluppare una vera educazione all’accoglienza e al dialogo che faccia realmente spazio all’altro. Facendo proprio l’invito di Papa Francesco a rifiutare la categoria dello “scarto”. Dal barbone della periferia, ai popoli amazzonici di “ingombro” per gli interessi economici delle multinazionali.

Fare spazio all’altro

Ideali alti, che passano necessariamente attraverso un coinvolgimento “dalla base”. Un movimento capace di far diventare questi temi argomento di discussione come pure oggetto di iniziative in cui sperimentare concretamente cosa significa “fare spazio all’altro”. Cominciano dal collaborare con chi, con iniziative diverse, condivide lo stesso ideale. Iniziative di inclusione sociale, di apertura verso altre culture, lingue, religioni.

Affinchè le persone non vedano il mondo attraverso la propria lente colorata, snaturando gli altri colori. Ciò senza rinnegare se stessi e la propria cultura ma facendola piuttosto lievitare attraverso un dialogo che apre all’altro senza pregiudizi. Per cogliere con umiltà il buono e il bello, spesso appannato dalla lente che, anche inconsapevolmente, abbiamo indossato.

 

don Gaetano Castello

Preside della sezione san Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e responsabile dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso della diocesi di Napoli. 

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