I piccoli Comuni? «Rappresentano il 70 per cento del Paese. È un motore che va nutrito»

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di Angelo Moretti su Corriere Buone Notizie

I centri con meno di 5mila abitanti sono messi già messi a dura prova, tra spopolamento e calo demografico. La pandemia li ha ancor più danneggiati: serve il cambio di passo. 85 milioni per le aree interne su 200 miliardi del Pnrr non bastano

L’assemblea Rete dei Piccoli Comuni del Welcome, tenutasi lo scorso gennaio con la presenza di Matteo Biffoni, delegato immigrazione di Anci, ha espresso una volontà chiara: i territori si aspettano un cambio di passo dal governo. Nei piccoli comuni, quelli con meno di cinquemila abitanti, che costituiscono il 70% dei comuni italiani ed occupano più del 50% fisico dell’Italia, in cui si annidano oltre il 90% dei prodotti tipici e si concentra meno di un quinto della popolazione italiana, i trend demografici preannunciano l’impossibilità della resilienza, non potendo più adattarsi oltre una certa soglia di tolleranza al ribasso demografico che li colpisce.

La resilienza ha a che vedere con un concetto che si mutua dall’arte del costruire ed indica la capacità di alcuni materiali di recuperare la medesima forma, nonostante siano stati sottoposti a un forte stress. Una Nazione resiliente è capace di costruire un suo nuovo equilibrio, e l’operazione termina con successo se l’equilibrio raggiunto è migliore di quello perso. Se ciò è vero ed auspicabile in generale, non lo è per tutti i territori. Ben prima della pandemia i piccoli comuni erano già nel pieno della loro resilienza, con un invecchiamento della popolazione generalizzato, nascite quasi azzerate e pochissimi matrimoni (fatto salvo il dato positivo dei migranti ospiti).

Sono territori che nei decenni trascorsi non sono stati attenzionati da un cambio di paradigma nello sviluppo. Basti pensare al welfare o alle attività produttive. Nessuna differenza tra il reddito di cittadinanza vissuto in un comune come Roccabascerana, in provincia di Avellino, o a Tor Bella Monaca, quartiere di Roma: stessa legge per tutti i territori, nonostante le condizioni socio ambientali dei percettori abbia significati e dimensioni totalmente diverse in un borgo con meno di 2500 abitanti o in un sobborgo di una città metropolitana. Così come per le attività produttive: nessuna differenza nelle leggi per chi apre una barberia a Reggio Calabria e chi a Roseto Capo Spulico, meno di tremila residenti invernali. Così come il lockdown scolastico ha avuto la beffa di essere uguale a Castelpoto, in provincia di Benevento, dove la scuola si raggiunge a piedi, attraversando la piazza, e conta qualche decina di bambini, e a Napoli, con classi pollaio ed autobus stracolmi. Di fronte al Covid, Napoli, circa un milione di abitanti, e Castelpoto, poco più di mille, sono state trattate improvvisamente con lo stesso identico riguardo ed i bambini che potevano attraversare la piazza sono rimasti dentro casa a lungo quanto quelli che non potevano più viaggiare in autobus.

Ora che il Pnrr ha iniziato la sua lunga traversata è bene che il governo distingua dove serve spingere sulla resilienza e dove bisogna puntare alla ripresa. Non dovrebbe essere più possibile impostare la programmazione della spesa pubblica come se Petruro Irpino, 240 abitanti, fosse Milano. Petruro ha bisogno di ripresa, di lavoro e di sviluppo, come tutta la dorsale appenninica, e può insegnare cosa significhi trovare un nuovo equilibrio, migliore di quello precedente, da quando il Comune si è aperto con il Sistema di Accoglienza ed Integrazione di Anci a un gruppo di 20 migranti, tra cui diverse famiglie siriane. Non basteranno gli scarsi finanziamenti alle aree interne, 85 milioni su 200 miliardi totali, né potrà mai essere sufficiente la mega competizione dei progetti per i Borghi che diventano attrattori turistici, in cui ne uscirà vincitore uno su dieci, o il finanziamento a luoghi «esemplari».

L’Italia dei piccoli comuni ha bisogno di tutt’altro, ha bisogno di essere vista come motore economico «ordinario» del Paese, luogo della riproduzione sociale e delle nuove forme della produzione industriale e artigianale, territorio di destinazione per i nuovi insediamenti abitativi, aree della ripresa in chiave di ecologia integrale, a partire da un welfare che deve essere disuguale, perché disuguale è sia la condizione di partenza che la prognosi. In un piccolo paese ogni persona presa in carico può fare la differenza, così come ogni pratica ecologica. In questi ambienti è davvero possibile connettere il welfare all’insediamento di nuove comunità energetiche e di nuove aziende digitali. Ma non accadrà per caso e sull’impulso di gesti eroici: accadrà se il governo deciderà di accompagnare sul serio questa nuova transizione dentro al Pnrr, se investirà su questa nuova dimensione dell’abitare e del lavorare in Italia.
  *Rete Piccoli comuni del Welcome

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