Storie in rosa

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Il racconto di una donna che con coraggio ha affrontato la malattia.

La storia di Giuseppina 

Era da un po’ di tempo che con la mano toccavo una cisti sotto il seno destro, ma non le diedi troppo peso: uno non pensa subito al peggio. Lo confidai ad una mia collega, la quale mi disse “Non si scherza con queste cose” e mi prenotò immediatamente un’ecografia. Quel giorno sbagliai ad andare da sola; è un momento così delicato che è fondamentale che ci sia qualcuno con te a sostenerti. Quando mi fecero l’agoaspirato la cisti scoppiò ed uscì un liquido nero. Era un campanello d’allarme; dietro di essa c’era un tumore. Durante il viaggio di ritorno mi sentivo come in una bolla. <<Forse ho un tumore>> dicevo, ma non mi rendevo conto della gravità, ancora non riuscivo a realizzare. Nel momento in cui la diagnosi fu certa, il tempo si fermò. Le mie figlie erano lontano ed io mi sentivo tremendamente sola. La notte piansi nel letto abbracciata al cuscino; tra le lacrime ripetevo “Anche questa, no.” Poi però cominciai a reagire pensando solo a me stessa, a vivere. Il dolore che fino a poco tempo prima stavo provando a causa della separazione da mio marito passò in secondo piano, come tutto il resto. Ora dovevo concentrami sulla vita. Durante la malattia mia sorella e le mie figlie sono state la mia salvezza, e tutte le persone che ho incontrato sono stati angeli che mi hanno sostenuto e confortato anche con una semplice parola, un abbraccio, un sorriso. Nell’orrore è stata un’esperienza meravigliosa. Sono viva per miracolo. Avevo un carcinoma triplo negativo C5, per cui non esiste ancora una cura ormonale. Quando lo asportarono scoprirono che era presente un secondo tumore; fortunatamente non si era infiltrato oltre. Durante la terapia sdrammatizzavo il dolore con il sorriso e l’allegria. La forza della vita la comprendi quando stai per perderla: <<Io voglio vivere>> mi ripetevo davanti allo specchio. Trascorrevo le mattinate sulla spiaggia, il mare è stato il mio compagno; lui sa tutto di me. Prima di andare a fare la chemio mi truccavo, lo chador erano i miei capelli e ne avevo uno per ogni vestito. I medici mi ripetevano sempre <<Più sorridi, più produci cellule positive. Chi sorride, vive.>> Sono passati 10 anni e ad oggi non c’è più traccia del tumore; per me è stata la mano di Dio a fermarlo.

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