#finalmentescuola

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Le notizie non sembrano buone. Mentre scrivo si discute sui giornali quale sia il colore della Campania e di altre regioni, una scelta non facile a causa del pasticcio dei dati; intanto, in tutta Europa si combatte per mantenere aperte le scuole, come racconta El Pais (citando anche la situazione italiana), ed evitare i rischi, sottolineati da molti pedagogisti, di una “enorme fractura académica” e di “desarrollo emocional” per i bambini e i ragazzi in caso di una nuova chiusura.

Al di là di questo, tuttavia, non sembra esserci un’idea e un progetto chiaro sulla scuola, che vada al di là della gestione dell’emergenza, tutt’altro che impeccabile, a giudicare dalle polemiche e dai ricorsi al Tar, tanto da rendere legittima la domanda a cui cercherà di rispondere questo pomeriggio il presidente dell’associazione Maestri di Strada, Cesare Moreno: La scuola è l’ultima delle priorità?

Le questioni sono tante e complesse, e sarebbe anche interessante seguire il dibattito La Scuola al tempo del Covid-19, organizzato, sempre oggi pomeriggio alle 14 e 30, dalla rivista Orizzonte Scuola, per capire il punto di vista della politica e del governo.

Tutto questo, comunque, non ha fermato il lavoro del progetto Ascetate. Aspettando di sentire quello di cui parlerà il presidente Moreno, abbiamo intervistato Irvin Vairetti sul lavoro fatto in questi primi mesi di ripresa della scuola, e in particolare sul progetto #finalmentescuola, nato come risposta alla situazione complessa del ritorno a scuola a settembre, dopo la quarantena e prima della seconda ondata che ha travolto, di nuovo, un po’ tutti.

 

Poco più di un mese fa le strade di Napoli sono state invase da una, anzi da tre, fiumane di “maestri di strada, giovani delle scuole del territorio, educatori in formazione, giovani musicisti, arteducatori e peer educator, maestri percussionisti e cittadini”, protagonisti dell’evento #Finalmente scuola… stamm sempe ccà!. Si è trattato di “una lunga passeggiata sonora, colorata, allegra, rumorosa” nella periferia est di Napoli.

Oggi, per le strade di Napoli, ma anche di Roma, Milano e Torino, vediamo qualcosa di ben diverso. Alcuni dei protagonisti dei disordini, però, potrebbero essere quegli stessi giovani che allora passeggiavamo allegramente. Cos’è successo, cos’è cambiato, e sopratutto, cosa si può fare per far ritornare per le strade quella passeggiata colorata e allegra?

La passeggiata di settembre nasceva da una speranza e forse anche da una consapevolezza…quella di essere una comunità capace di incidere e di dire la propria a gran voce, in un momento in cui le istituzioni sbandavano e delegavano, di fatto, a comunità come quella la ricerca di risorse (soprattutto psichiche) per ripartire. In poco tempo, tutto è riprecipitato e quella stessa comunità si è trovata a fare i conti con istituzioni ritornate sorde e ormai in preda al panico, perché non hanno progettato nulla, ma hanno continuato a ragionare nell’emergenza, nonostante tutto fosse largamente prevedibile o affrontabile con una seria programmazione. Molto probabilmente, alcuni dei nostri ragazzi avranno partecipato o aderito idealmente ai disordini di qualche giorno fa per le strade, spinti dalla delusione di non veder corrisposto il proprio senso di responsabilità (dimostrato già ampiamente, nonostante qualche contraddizione) e di propositività. Perché, anche se spesso inconsapevolemente, la vitalità creativa di questi giovani e di chi li ha accompagnati si è trasformata in una vera proposta progettuale. Torneremo per le strade, colorati e in allegria, ma dobbiamo aver il tempo di metabolizzare e di affrontare in gruppo quello che sta succedendo. Vogliamo scrivere il nostro copione e non recitare quello che altri vogliono produrre per noi.

Il fondatore di Maestri di Strada e promotore dell’iniziativa ha dichiarato che la scuola “è il luogo più importante in cui le generazioni si prendono cura l’una dell’altra e in cui i giovani possono conoscersi tra loro e rifondare il questo modo il patto sociale”. Proprio per questo ci manca, ha aggiunto, e abbiamo voluto “ricordarla rumorosamente […] far sentire alla città con due settimane d’anticipo che i giovani e i maestri di strada sono al lavoro, che sono presenti: stiamo qui, siamo ancora qui e non potrete dimenticarvi di noi, così come non potrete dimenticarvi di questa periferia che ha trovato la sua voce.” Non è un po’ contraddittorio esaltare la scuola come luogo di formazione per un’associazione che lavora, come il nome stesso dice, sopratutto in strada?

Innanzitutto, noi non lavoriamo soprattutto per strada, anzi, lavoriamo tanto anche in orario curricolare in collaborazione con i docenti delle scuole. Il nostro lavoro è proprio quello di creare un vero ponte tra scuola ed extrascuola; tra saperi formali e saperi non formali ed informali. La dimensione extrascolastica che viviamo con i giovani è un qualcosa che cerchiamo di valorizzare anche all’interno dei percorsi scolastici, ad esempio, attraverso quelli che si chiamano portfoli. L’azione dei Maestri di Strada è anche quella di condividere una sperimentazione in ambito educativo e formativo con le scuole e con i loro protagonisti, sostenendo il pensiero riflessivo e la continua ricerca di intrecci e sinergie tra il dentro e fuori scuola. La centralità del nostro lavoro sulla comunità educante non può prescindere dal ruolo propulsivo che bisogna riattribuire alla scuola.

Oggi la situazione, come dicevamo, è cambiata: le scuole sono di nuovo chiuse (e non solo quelle), in strada ci sono disordini, e il futuro sembra quanto mai incerto. Pensate che il vostro progetto sia stato sconfitto? Quali sono le vostre prossime mosse?

Assolutamente no, non pensiamo che il progetto sia sconfitto. Abbiamo progettato tanto e continuiamo a farlo in modo collettivo e partecipativo. Ci confrontiamo tutti i giorni con la realtà che muta, ma pensiamo anche a come trasformarla noi insieme ai nostri giovani, alle famiglie e alle scuole. Tra gli obiettivi vi è sempre quello di tenere vive le relazioni (tra distanze, mascherine e collegamenti online) e la creatività di ognuno. Abbiamo sperimentato tante modalità con cui affrontare le paure e le incertezze e abbiamo capito che il sentirci comunità e il lavoro sulla tenuta del gruppo sono le “armi” vincenti per non essere spettatori passivi di un sistema politico e comunicativo drammaticamente violento. Inoltre, aver avuto anche l’esperienza di affrontare direttamente la malattia, ci ha consentito di conoscere meglio il virus, di non esserne terrorizzati, ma di renderlo metafora di ciò che, pur facendo paura, può riattivare il sistema immunitario umano e creativo dei singoli e della comunità.

La cosa che colpisce dell’iniziativa è che, pur partendo localmente, in realtà punta a creare una rete nazionale di associazioni coinvolte in progetti educativi incentrati sui linguaggi artistici (coerentemente con le idee portate avanti da Ascetate). A che punto siete con la creazione di questa rete, e come vengono scelte le associazioni che ne fanno parte?

La rete sta “progettando”, cioè si sta proiettando in avanti, e questo è l’elemento fondamentale. Ormai abbiamo appuntamenti settimanali per confrontarci e programmare interventi ed eventi. La scelta delle associazioni, al momento, nasce da affinità scoperte anche un po’ per caso e dall’informarsi continuamente su ciò che succede nel resto d’Italia e nel mondo. Già durante il lockdown primaverile, attraverso le nostre dirette facebook sul canale“I Coronauti”, abbiamo dato voce a tante realtà associative italiane che stavano “resistendo” come noi e stavano portando avanti iniziative molto significative in ambito sociale, educativo e artistico. Oggi, c’è una rete che tocca tutto lo stivale ed arriva fino a New York…presto sarete aggiornati!

Bene. Ringraziando Irvin per la bella intervista, aspettiamo di essere aggiornati quanto prima…


@Giorgio Guzzetta, responsabile della comunicazione per il Progetto Ascetate

 

 

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