Finché siamo corpi: laboratori di pratiche filosofiche nelle scuole

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Finché siamo corpi – il video

I progetti hanno sempre la data di scadenza, prescritta a confine di esperienze.

Via delle donne, un progetto sostenuto da Fondazione con il sud, ha avuto un tempo importante dedicato a due classi di scuola secondaria di primo grado, un tempo spalmato in due anni scolastici. Abbiamo cominciato in seconda media, con la 2 A e la 2 B dell’Istituto comprensivo “Tito Schipa” di Trepuzzi (Lecce), percorrendo la via delle donne attraverso laboratori di pratiche filosofiche in cui ragazzi e ragazze hanno fatto esperienza di parola, di pensiero, di sguardo, di postura e di relazione.

Abbiamo utilizzato le fotografie per guardare i corpi ritratti e comprendere, attraverso le singolari interpretazioni, le parole che ciascuno posava sui corpi fotografati. Sono state importanti le fotografie di Letizia Battaglia in cui bambini siciliani armati e camuffati da passamontagna si esercitavano ad assumere la parola che anche a loro, maschi della 2 A e della 2 B, era stata scritta sul corpo come necessaria, imprescindibile, identitaria: forza.

Abbiamo osservato le fotografie di Mario de Biasi raccolte in Gli italiani si voltano, in particolare colpiva quella in cui una bellissima e giovane Moira Orfei degli anni 50 con passo deciso e ritratta di schiena si portava verso una folla compatta di maschi, intenti a guardarla con sguardi voluttuosi e pieni di desideri che il più delle volte si scrivono come colpe sui corpi delle donne.

Molta attenzione abbiamo riservato a An American Girl in Italy ritratta nel 1951 da Ruth Orkin. Una giovanissima ragazza tagliava gli sguardi incrociati di giovani uomini che circondavano il suo incedere; mentre allo sguardo dei giovanissimi di 2° media si impigliava una certa alterigia noncurante che in una donna destava sospetto.

Sulla via delle donne abbiamo tentato e mosso lo sguardo sulle parole con cui i corpi sono trascritti al mondo. Così da scoprire che se una donna sceglie di non avere figli è un’egoista, se si siede in modo scomposto diffonde disponibilità sessuali, se parla subisce il giudizio tempestivo negativo dei ragazzi.

E dalle fotografie, con pazienza e talvolta con fatica, abbiamo osato volgere lo sguardo ai corpi singolari: ciascuno ha pensato a come si esprime il proprio corpo e, accanto, ha scelto di osservare il corpo di un adulto, per lo più dei padri e delle nonne, per dire come si esprime. Con quali parole.

Tornava la “parola” forza. Perché il maschio deve essere forte. E la femmina, dopo essersi schifata per la mestruazione che le sporca il corpo, può ridursi ad un buco nero, muto e senza parole.

I ragazzi e le ragazze della 3 A e della 3 B hanno camminato sulla via delle donne, hanno sperimentato una “camminata” che richiede attenzione alle parole, grande ascolto, coraggio argomentativo e vicinanza emotiva.

E come ha concluso Marco: “Se non ci fossimo fermati a ragionare, a riflettere non avremmo mai compreso certi aspetti di noi. Quello che ci rimane di via delle donne è un metodo.”

Seduti in cerchio, fieri di darsi sguardo, quasi capaci di riconoscere le parole a cui i loro corpi giovanissimi sono stretti e talvolta costretti.

Le loro voci ci riportano alla verità che “finché” siamo corpi possiamo cambiamenti, incontri, relazioni e nuove vie delle donne aperte alla molteplicità del divenire e del sentire.

a cura della dott.ssa Graziella Lupo Pendinelli, Consulente Filosofica e coordinatrice dei laboratori di pratiche filosofiche per il progetto Via delle Donne – Cooperativa TelaLab

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