Quali sono i diritti che si affermano a fatica, in carcere? Un racconto da Bari

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Da gennaio 2019 Antigone entra nel carcere di Bari. Ogni settimana vari attivisti – per lo più avvocati – incontrano delle persone detenute che hanno bisogno di informazioni su quali sono i loro diritti e quali i mezzi e le procedure per farli valere. In un anno abbiamo incontrato circa 100 uomini (da un po’ di tempo la sezione femminile è stata chiusa, nella casa circondariale di Bari).

In carcere ci si sente in balia delle istituzioni: da qui il bisogno di sapere a che punto è una pratica, qual è il funzionamento delle procedure per ottenere risposte alle proprie domande e via dicendo.  I detenuti in custodia cautelare, ma anche gli appellanti e i ricorrenti (cioè coloro che sono stati condannati, ma non in via definitiva)  hanno chiesto in genere di essere informati meglio e di più sulle istruttorie in corso, sull’ottenimento della certificazione di tossicodipendenza, sulle misure sostitutive e quelle custodiali.

Molte delle domandine pervenute allo Sportello denunciano poi le cattive condizioni di detenzione: il poco lavoro, l’assenza di attività, la difficoltà a far valere il diritto alla salute e alle cure, la necessità di trasferimenti in altri istituti per motivi familiari e di studio, e via dicendo.

Antigone  ha lavorato duramente per sbloccare alcuni casi delicati, facendo pressione sulle autorità coinvolte (la direzione del carcere, la direzione dell’azienda sanitaria locale, e altri) affinché le richieste andassero a buon fine. E ha dato tutte le informazioni su ciò a cui si ha diritto, nella consapevolezza che una maggiore coscienza dei propri diritti contribuisce a far di una persona un membro che partecipa attivamente alla vita della società.

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