Io e M. Uscire dal silenzio

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Io ed M. ci siamo conosciuti alla fine di un’estate, nel paese dei miei nonni in cui ogni anno trascorrevo le vacanze. 

14 anni io, 21 lui, avevo appena cominciato le scuole superiori, lui lavorava come muratore con il padre. Nonostante la differenza di età, ci piacemmo fin da subito ed il nostro rapporto si consolidò ben presto, nel giro di pochi mesi.

Eravamo gelosi l’uno dell’altra allo stesso modo, almeno così mi sembrava in quel periodo. Qualche volta uscivo con una maglia più scollata e mi faceva tornare indietro a cambiarmi. Rinunciavo alle uscite con le amiche, alle feste di compleanno, alla gita all’estero dell’ultimo anno del liceo. 

La sua gelosia mi lusingava, mi faceva sentire amata, non ho mai vissuto quegli anni con malessere, almeno non consciamente. Rinunciai a proseguire gli studi dopo il Liceo, nonostante mio padre mi pregò di iscrivermi all’Università, ma io feci un’altra scelta e dopo 8 anni di fidanzamento, ci sposammo. 

I primi anni trascorsero abbastanza tranquilli, anche se spesso in difficoltà economiche, visto che lui non aveva un lavoro fisso ed io non lavoravo. 

Andavamo molto d’accordo e ci amavamo, con poco eravamo felici, dopo 5 anni di matrimonio arriva la gioia più grande, nostra figlia. 

Quando lei cominciò a frequentare le elementari ed era un po’ più autonoma, stanca di stare sempre a casa, considerate anche le difficoltà economiche, decisi che era arrivato il tempo di cercarmi un lavoro per contribuire al sostentamento della famiglia. 

Trovai lavoro in un’azienda agricola, con personale prettamente femminile. Il lavoro era molto duro, lavoravo per molte ore al giorno, e sentivo la necessità di ritagliarmi anche mezz’ora ogni tanto, solo per un caffè con un’amica e a lui questa cosa non andava giù, pretendeva che dopo il lavoro dovevo stare con lui e la bambina e quando uscivo, puntualmente mi ripeteva che non avevo il pensiero della famiglia,  questa cosa mi faceva male, mi sentivo incompresa, lavoravo moltissimo e secondo lui non avevo il diritto di prendermi un momento di svago. 

Ogni tanto tornavo a casa e gli raccontavo com’era andata la giornata, magari gli dicevo che durante la pausa ci eravamo divertite, avevamo riso e scherzato e lui mi diceva che dovevo fare la seria.

Se uscivamo con gli amici e facevo battute, diceva che ero stata fuori luogo e troppo al centro dell’attenzione, se me ne stavo zitta, ero sembrata assente e scocciata. Insomma non andavo bene mai! 

Più mi dava addosso, più  mi chiudevo in me stessa e mi allontanavo. Ero ed eravamo ufficialmente in crisi!  

Spesso ho provato ad aprirmi, a parlargli, a fargli capire come mi sentivo, cosa provavo e cosa volevo, ma ricevevo solo incomprensione.

Avevo preso consapevolezza di me stessa e delle mie capacità, mi stavo emancipando ed a lui questa cosa infastidiva non poco. 

Il rapporto era ormai deteriorato ed io strinsi amicizia con un altro uomo, forse non era solo amicizia ma qualcosa in più, quando lui scoprì dei messaggi, andò su tutte le furie e dopo una violenta litigata, andai a stare per due giorni dai miei genitori. 

Tornai a casa e pian piano tentammo di ricucire il rapporto, ma ovviamente lui non si fidava più di me. 

Contestualmente cominciavo a lavorare in un’altra città, in una grande azienda ma questa volta con un impiego più redditizio e più adatto a me. Non voleva che accettassi, ma andai comunque contro il suo volere. 

Per recarmi al lavoro avevo bisogno di essere automunita, io che avevo preso la patente a 18 anni ed ero arrivata ai 34 senza aver mai guidato, comprai una piccola auto e cominciai a fare pratica. Avevo sempre avuto il terrore di guidare, mi  ero convinta di non esserne capace, ed invece presto scoprii che mi piaceva un sacco ed ero anche brava. A lavoro, dopo un periodo di prova mi confermarono ed io fui fiera. Ero fiera anche del cambiamento che stava avvenendo in me, mi sentivo realizzata e felice di dimostrare a mia figlia che e’ solo con volontà e determinazione che si ottengono i successi. 

Ero una donna nuova, ma questa donna nuova a qualcuno non piaceva. Solitamente il proprio partner dovrebbe essere fiero e felice dei successi e della crescita personale e professionale del proprio compagno, a lui invece questa cosa infastidiva moltissimo, si sentiva messo da parte perché stavo diventando indipendente su tutti i fronti. 

Mi iscrissi in palestra, cercavo di conciliare il mio ruolo di mamma, di lavoratrice e di donna, quindi tornavo a casa, aiutavo mia figlia nei compiti, preparavo la cena e poi andavo in palestra, ma al ritorno ogni volta erano lamentele, provai anche a diminuire la frequentazione della palestra ma non serviva, anche quelle poche volte non gli andavano bene. Per non parlare delle mie amiche, non gliene stava bene una!

Rovistava nella mia borsa, una volta trovò un libro prestato da una collega, cercò la trama su internet e si arrabbiò perché era un romanzo erotico. 

Mi controllava i km, gli accessi ai social, cronometrava i miei spostamenti. 

Dovevo avvisarlo appena arrivata a lavoro e chiamarlo appena uscita e se tardavo qualche minuto mi faceva mille storie. Non ero libera di fermarmi a fare la spesa dopo il lavoro, dovevo subito rientrare. La situazione era diventata insostenibile, vivevo controllata e cronometrata sempre, questo mi metteva ansia, perché sapevo che poi a casa dovevo sentirmi le sue lamentele che mal sopportavo e che scatenavano in me frustrazione e rabbia e culminavano sempre in liti abbastanza accese. 

La sua ossessione lo ha portato a pedinarmi all’uscita dal lavoro fino ad arrivare a mettere in auto un registratore audio video, quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. 

Il giorno in cui scoprii che mi aveva spiata, decisi che dovevamo stare distanti per qualche giorno, sarei stata dai miei con la bambina. Ma alla vista della borsa con dentro poche cose, durante un acceso diverbio prese una sedia di legno e la sbatté con forza a terra, fino a romperla completamente. Tutto questo sotto gli occhi terrorizzati della bambina. Da quella sera non sono mai più tornata a casa. 

Mi ha supplicato di tornare, di provare a vivere da separati in casa, ma non ho mai accettato. Stavo dai miei, non avevo una camera per me e mia figlia, gli chiesi più volte di farci rientrare e di andare a stare lui dai suoi genitori per un po’, ma non me lo ha mai permesso. 

Dopo 2 mesi gli ho fatto richiesta di separazione. Da lì è cominciato il mio incubo. Mi vedeva per strada e mi ingiuriava, mi seguiva, lo trovavo sotto casa dei miei. All’inizio ho tollerato la situazione, credendo che forse era anche normale, doveva avere il tempo di metabolizzare la cosa. Ma i mesi passavano e le cose andavano sempre peggio. 

Ricevevo continuamente chiamate e messaggi offensivi alternati a messaggi di disperazione. Quando poi ha capito che non poteva più recuperare, cominciò a far leva su mia figlia, parlandole male di me, chiedendole informazioni su di me, di registrarmi mentre parlo al telefono, di leggere i miei messaggi. 

Avevo tutti gli elementi per denunciarlo, ma non volevo fare guerra, perché la bambina era già fortemente provata dalle nostre litigate. Aveva già assistito a diversi episodi violenti, come una volta in cui, sapendomi in un bar con un gruppo di colleghi, e’ venuto lì e mi ha ingiuriata, strattonata e sputata alla presenza della bambina. O quando mi ha preso a calci l’auto, facendomi staccare lo specchietto, o quando ancora mi ha graffiato il cofano e poi ha sputato sul vetro. Decisi di chiudere con una consensuale, solo su carta, perché di consensuale non c’era nulla. Gli ho lasciato la casa coniugale, mai mi sarei sognata di vivere accanto ai miei ex suoceri, dai quali non ho avuto una briciola di sostegno, mi sono accontentata di un misero mantenimento ed ho scelto un affidamento congiunto, proprio perché ero certa che prima o poi si sarebbe rassegnato ed avremmo potuto avere un rapporto civile. 

Ma mi sbagliavo, circa un mese dopo la consensuale, scoprii che aveva chiesto a mia figlia di fotografare le mie chat ed inviargliele, in cambio dell’acquisto di un regalo. Controllando il cellulare di mia figlia scopro che nei mesi addietro le aveva chiesto di scattare foto agli indumenti intimi che avevo nel cassetto. Nel frattempo gli appostamenti sotto casa, le chiamate di controllo fatte attraverso la bambina  erano continuate. A quel punto richiedo un ammonimento al questore e per un breve periodo ha smesso di tartassarmi ed io credevo di aver risolto il problema finalmente. Ma dopo poco ha ricominciato. Faceva videochiamate alla bambina per vedere se stesse con me o l’avevo lasciata dai nonni per uscire, le chiedeva sempre dei miei spostamenti, assillandola con continue chiamate che la innervosivano. Ricatti e minacce di non prenderla nei giorni stabiliti se non faceva quello che le diceva di fare. Ogni volta che la bambina stava con lui ed io la chiamavo per sentirla aveva sempre un’offesa per me. Fino ad arrivare all’episodio che mi ha spinta a denunciarlo, messaggi audio inviati con il telefono della bambina, in cui mi augura di fare un incidente e di morire, in cui mi minaccia di farmi violenza fisica nel caso in cui io faccia incontrare mia figlia con il mio nuovo ipotetico compagno, denigrazioni del tipo “sei una donna di merda- fai schifo come madre- sei una poco di buono”, tutto questo alla presenza di mia figlia. 

Ho deciso così che avevo bisogno di aiuto, che non potevo sopportare oltre e soprattutto che mia figlia non poteva assistere a questa violenza psicologica e subire tutto questo. Mi rivolgo al CAV  qui ho trovato professionalità, riservatezza, sostegno ma soprattutto tanta solidarietà ed umanità. Splendide donne che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze per aiutare altre donne.

Il consiglio che mi sento di dare e’ quello di rivolgersi ai centri antiviolenza, perché quello che  subiamo ci sembra normale, troviamo una giustificazione, spesso siamo convinte di meritarlo o che ogni forma di prevaricazione sia dovuta. 

A me per esempio è successo che a volte quando rientravo dal lavoro,  il mio ex marito mi toccava nelle parti intime per vedere se fossi eccitata, e solo parlandone con il personale del CAV mi sono resa conto di quanto questo gesto fosse invasivo ed umiliante, mentre a me sembrava dovuto.

Non abbiate paura di denunciare, tutelate voi stessi ed i vostri figli, gli insegnerete ad essere forti, a pretendere rispetto e a non farsi calpestare da nessuno. 

Tante volte mi sono sentita sbagliata ed ho creduto di meritare quelle offese, parlatene perché prendere consapevolezza è il primo passo verso la liberazione.

 

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