AIPD Cosenza, il luogo in cui la fiducia colora il delicato mondo delle emozioni
di gilda sciortino
Qual è la più grande soddisfazione quando si lavora con ragazzi e ragazzi con sindrome di down?
«Prima di tutto che, quando riesci a coinvolgerli in alcune attività, per esempio la scrittura dei progetti, vengono fuori delle cose meravigliose proposte da loro stessi. Lo facciamo perché, nel momento in cui arriviamo alla fase pratica, abbiamo bisogno di interfacciarci con i beneficiari diretti. Un’altra cosa meravigliosa è che stare con loro è come se tornassi a casa dove, ad attendermi, ci sono tanti fratelli e tante sorelle che non vedono l’ora di raccontarti la loro giornata, di farti vedere quel che hanno fatto, ma anche di stare ad ascoltarti con grande attenzione. Ti avvolge un senso di affetto, di amore e fiducia che non puoi non accogliere».
Parla così Silvio Cilento, responsabile della comunicazione della sezione cosentina dell’Aipd, associazione italiana persone down, al cui centro ci sono i ragazzi e le ragazze, ma anche e soprattutto le famiglie, anzi le mamme in modo particolare.
«La nostra sezione», prosegue Cilento, «è nata dai genitori, in numero maggiore mamme, che partecipano attivamente alla vita dell’associazione. Fanno parte del direttivo e sono una forza trainante anche quando c’è da organizzare qualcosa. Lavorano alle campagne di sensibilizzazione, di promozione, di fundraising. In quei momenti ti rendi conto improvvisamente che hanno lavorato silenziosamente perchè la città è improvvisamente tappezzata dal nostro logo e dai manifesti. Il loro è un grande e vero lavoro di inclusione. Rivendicano anche il dopo di noi, ma in una società più inclusiva, più sicura per i loro e nostri ragazzi».
Una realtà, Aipd, che punta a sviluppare i percorsi di autonomia dei ragazzi e delle ragazze – 10 ragazzi adulti dai 18 ai 25 anni e 15 dai 4 ai 15 – con sindrome di down. Anche ora sono, infatti, in corso laboratori che danno loro modo di imparare come fare la spesa, andare al bar e pagare da soli, anche solo prendere un autobus. Attività che stimolano le competenze, la vita quotidiana e i piccoli gesti che ne fanno parte.
«All’interno della sede i ragazzi hanno a disposizione una cucina», dice ancora Cilento -.«Ci sono, quindi, giorni in cui vanno a fare la spesa e preparano gustose pietanze per loro e per le mamme. Altre volte, escono solo per momenti ricreativi che vanno dal prendere un caffè, un tè, per fare tutto quello che fa parte della vita di un ragazzo e una ragazza di venti anni. Sono occasioni che attendono con gioia ed emozione per tutta la settimana e te ne accorgi da quel sorriso che illumina i loro volti».
Un’autonomia che si sviluppa anche solo dando loro gli strumenti per utilizzare il denaro, supportati da percorsi legati al doposcuola, di crescita, anche di psicomotricità che stimolano i movimenti. Fondamentali, per questi adolescenti, i percorsi di inclusione che danno modo di costruire relazioni fondamentali per la loro vita.
«In questo percorso uno dei laboratori che ha avuto successo è stato quello legato alla creatività. Abbiamo utilizzato la tecnica della “Tullet ‘art”, una forma d’arte che punta all’inclusività, alla cooperazione, all’interazione e alla creazione di opportunità. Sono stati eccezionali perché le loro opere – pesci, fiori pieni di colori, una natura sprizzante gioia di vivere – sono diventate la mostra “Colori in viaggio” esposta al “Museo dei Brettii e degli Emotri” di Cosenza. È stata apprezzata da centinaia di persone, compresi diversi artisti che si sono complimentati con tutti loro. Hanno partecipato con tanto entusiasmo, da creare un altro catalogo di disegni delle confezioni di panettoni venduti durante le festività natalizie per raccogliere fondi per l’associazione. Un’emozione che continuiamo a vivere ancora oggi».
Qualcuno trova una vicinanza, un’affinità tra ragazzi con sindrome di down e autistici. Corrisponde al vero?
«Hanno in comune questa delicata comunicazione delle emozioni. Riescono a rompere i muri dettati da pregiudizi e stereotipi. Anche il vissuto li accomuna tantissimo. Pure io, nel mio percorso personale, ho dovuto superare numerose barriere, quindi il fatto di riconoscersi come persone un po’ discriminate, riesce ad abbattere questi ostacoli tutto in maniera più veloce e immediato. Solo così si innesca quella fiducia che determina un cammino di piena condivisione e solidarietà».
Che tipo di percezione e di motivazione guida i ragazzi e le ragazze con cui interagite?
«Come dicevo prima», spiega il responsabile della comunicazione di Aipd Cosenza «c’è un riconoscersi oltre il materiale, direi dal punto di vista spirituale. Identifichi il dolore, le sofferenze, la rabbia. Probabilmente direi anche che sono fortunato ad avere vissuto un mio percorso di discriminazione perché mi ha consentito e mi consente di cogliere tanta bellezza. Mi succede sempre con i ragazzi e le ragazze con sindrome di down, quelli con particolari forme di autismo, ma anche con i tanti che hanno vissuto in un contesto particolarmente complicati».
Progetti di vita difficili, soprattutto se non c’è sinergia con l’ente pubblico che dovrebbe supportarvi.
«L’Aipd è una rete e le sezioni locali mettono in campo attività autonome, ma sempre guidati dallalinea nazionale. Contribuiamo anche alla raccolta dati Censis sulle persone down, l’inclusione, i progetti di vita che dovrebbero essere attivati all’interno delle amministrazioni locali. Rispetto a Cosenza, per esempio, i dati sono allarmanti perché fatichiamo a co-progettare su questo tema con gli enti comunali perché la relativa spesa è legata a un welfare inesistente. All’interno dei Comuni, poi, l’assistenza è bassa perché non hanno personale che riesca a gestire e avviare questi percorsi. Al nord ci sono regioni più virtuose, come la Lombardia o il Piemonte, che riescono a investire e lavorare, mentre da questo punto di viata al sud siamo ancora molto lontani».
Come reagiscono i genitori davanti al tema del dopo di noi?
«Ci sono discussioni all’interno dell’associazione», conclude Silvio Cilento, «ma la posizione che hanno è molto critica. Non riescono a immaginare un “dopo di noi” strutturato. Ci sono tutte le paure legate alla condizione di vita e alle garanzie da dare ai loro figli. Questo anche perché sono poche le associazioni del territorio cosentino che si occupano di sindrome di down, così e ritrovarsi dentro realtà che trattano questa fragilità come tante altre non li fa stare sereni. Noi stiamo lavorando per modificare questa loro percezione e per fare capire loro per cosa e come lottare. Non demordiamo. Ci siamo e ci saremo sempre».
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