Cosa pensiamo in merito all’ordinanza comunale per lo sgombero dell’insediamento informale in Corso Sicilia
di tramediquartiere
(Sventramento del quartiere di San Berillo-Archivio di Stato, Catania)
Una normalità aberrante
La vita sembra quasi riprendere la sua normalità, ritornando alle abitudini quotidiane e riprendendo le sue forme ineguali. L’esperienza vissuta durante il Covid-19 e le difficoltà che diverse persone stanno affrontando nel tentativo di sopravvivere alle costanti emergenze non hanno consentito nessun cambiamento e insegnamento. Tutto ritorna alla normalità, come la scelta di allontanare dalla vista e dallo spazio gli altri, i diversi, le persone non gradite, quelle che non fanno un buon odore.
Lo scorso 17 giugno con l’ordinanza n. 92 il Sindaco di Catania ordina lo sgombero dell’area tra Piazza della Repubblica, Piazza Grenoble e Via Teocrito per eliminare dalla vista l’insediamento abitativo informale ivi presente.
L’ordinanza è stata preceduta da un interrogazione parlamentare della Senatrice Papatheu nei confronti della Ministra dell’Interno nella quale si richiede un maggior dispiegamento di forze della sicurezza sull’ intero quartiere San Berillo. Tuttavia, già nella stessa interrogazione si ammette che “le forze dell’ordine sono intervenute in diverse occasioni, anche a seguito delle segnalazioni dei residenti, ma i numerosi problemi di quest’area non hanno mai trovato una soluzione risolutiva”. In questo caso non solo si ritorna alla normalità, ma anche la storia ritorna, con la stessa retorica di riferimento.
Uno dei più brutti, miseri e sporchi quartieri centrali della nostra città che occupa una zona importantissima della città, riducendola ad un focolaio di stradette e vicolacci, di casette e casupole (per non dire covi e tane), che ospitano miserie di tutte le specie, morali e fisiche.
In questo modo nelle pagine della Sicilia del 1949 veniva descritto il quartiere di San Berillo: un luogo insalubre sui cui bisognava intervenire per risanare. Tutti conoscono il corso degli eventi: appunto la demolizione del quartiere e la costruzione del Corso Sicilia. Cosa è cambiato dopo 70 anni da quella operazione in questo quartiere? Quali sono i problemi e le contraddizioni che la città vive nella quotidianità? Quali le responsabilità e le possibili soluzioni?
Durante il periodo di lockdown molte associazioni, tra cui Trame di Quartiere, gruppi e abitanti hanno dimostrato la forza e la volontà di mobilitarsi per offrire supporto e solidarietà a chi non riesce a fare la spesa o vive in condizioni critiche dal punto di vista abitativo e sociale. Questa solidarietà è stata accompagnata da comunicati, lettere relazioni stilate da Trame di Quartiere rivolti all’amministrazione pubblica della città di Catania con l’obiettivo di comprendere e chiedere interventi efficaci e condivisi sui temi dell’accesso alla casa, del sostegno al reddito e dell’organizzazione dei servizi sociali attraverso la stipula di un patto di collaborazione sul modello adottato in diverse città, inviata da Trame di Quartiere al Comune di Catania.
Nessuna risposta, nessun confronto, nessuna proposta di co-progettazione di interventi e di coinvolgimento pubblico. La risposta “normale” a cui ancora una volta assistiamo è la rimozione della presenza come strumento per fronteggiare e rispondere ad una situazione in cui viene compromessa una degna qualità della vita. La presenza di queste persone che vivono in una tenda, in un cartone, per strada o in un palazzo abbandonato senza alcuna sicurezza e diritto, rappresenta lo stato di nuda cittadinanza che, come spiega Arjun Appadurai, convive in un’inquieta promiscuità con la finanza globale, le banche, le economie del turismo e del tempo libero. In molte altre città del mondo queste persone occupano gli spazi marginali e subiscono la violenza della forza di rimozione pubblica: dormire è di fatto l’unica forma dell’essere sicuri, la casa è dovunque si possa dormire. Queste persone restano visibili allo sguardo decoroso, ma invisibili agli occhi della legge, in quanto spogliati di diritti e di qualunque riconoscimento a forme di abitare sicuro. Le vite non vengono considerate allo stesso modo, non tutte hanno lo stesso valore, come ricorda Didier Fassin ragionando sulla vita ineguale.
In che modo quindi possiamo agire e lavorare per rendere meno insicura la vita di queste persone?
Dopo anni di lavoro nel quartiere del vecchio San Berillo affermiamo l’esigenza di realizzare un percorso per ricostruire una dimensione abitativa, capace di rendere accessibili e funzionali le case e i palazzi abbandonati lasciati indenni dall’operazione di sventramento degli anni Cinquanta e oggi danneggiati dall’incuria. Il riuso degli immobili in costante decadenza rappresenta una soluzione concreta per supportare e abilitare le persone ad aspirare alla sicurezza abitativa, lavorativa e sociale. Il nesso è forte, e non appartiene soltanto alla storia. Come Associazione e oggi anche come Cooperativa di comunità lavoriamo nel contesto di San Berillo con l’intenzione di rigenerare il tessuto urbano costruendo insieme ad abitanti, operatori, sex workers, migranti, cittadini interessati iniziative culturali, cantieri, servizi sociali e occasioni economiche. Le scelte politiche urbane che come in passato non leggono e analizzano le trame relazionali e sociale della città, costituiscono la causa di tanti problemi.
Definiamo problematica e pericolosa la scelta di intervenire con lo sgombero coatto dell’insediamento, senza alcun tipo di progetti sociali e urbani per affrontare quella che non è un’emergenza ma la perdurante normalità delle povertà e della diseguaglianza.
Invitiamo i membri e i rappresentanti del comitato di residenti in Corso Sicilia ad un confronto pubblico con le organizzazioni e gli abitanti che nella quotidianità vivono e lavorano nel quartiere di San Berillo per cercare di oltrepassare una visione esclusivamente di alterità e diversità come pericolo da eliminare e come mero fattore di ordine e decoro pubblico, al fine di piuttosto costruire un percorso di solidarietà e reciprocità.
Chiediamo con forza all’amministrazione comunale, al prefetto e agli altri organi che hanno ricevuto le lettere, le denunce di abitanti e associazioni del quartiere, di costruire un percorso di confronto sulle contraddizioni che questo quartiere vive nelle diseguaglianze sociali e nella marginalità spaziale.
Desideriamo conoscere le scelte organizzative e gestionali dei fondi stanziati sul Pon metro destinati
all’emergenza abitativa. In particolare vogliamo conoscere i risultati concreti del bando sull’affidamento ricerca alloggi per sperimentazione dell'Housing First chiuso nel novembre 2019 e che prevede un importo di quasi €700.000.
Come sta funzionando l’agenzia sociale della casa? Dove si trova la sede dell’agenzia Habito, prevista
proprio in una struttura di proprietà pubblica del quartiere? Perché non esiste nessun tipo di percorso di collaborazione con le organizzazioni e gli abitanti del quartiere, attivi nel trovare soluzioni ai problemi?
Non vogliamo un nuovo risanamento, piuttosto aspiriamo alla costruzione di città inclusive e sostenibili!
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