A Mazara del Vallo l’accoglienza crea la vera inclusione

di

I ragazzi della "Casa della Comunità Speranza"

Integrati ma non inclusi. Si costruisce su questo dato di fatto il lavoro dell’associazione “Casa della Comunità Speranza” che a Mazara del Vallo lavora con i minori stranieri accompagnati di seconda e terza generazione, quasi tutti residenti nel centro storico di Mazara.

«Sono bambini che appartengono a famiglie che vivono qui da almeno 30 anni – spiega Giuseppe Ferro, uno degli operatori dell’associazione – e hanno ancora difficoltà con la lingua. Sono residenti nel quartiere della Casbha, quindi nel cuore del centro storico,  e non sono in grado di aiutare i loro figli con i compiti o nelle relazioni sociali per la loro resistenza a imparare l’italiano. Per questo motivo, da alcuni anni, stiamo proponendo corsi di alfabetizzazione di altro tipo. Abbiamo, infatti, pernsato a dei laboratori di cucito, grazie ai quali le donne, le mamme, fanno attività imparando per forza di cose la nostra lingua. Diversamente parlerebbero sempre e solo tunisino. Diciamo loro anche che i bambini hanno bisogno di guardare i cartoni animati in italiano perchè acquisiscono proprietà di linguaggio. Non è facile».

Si scoprono nuovi tesori

Lunga la storia di migrazione di questo comune in provincia di Trapani, che fa i conti con un’integrazione non del tutto realizzata. Per questo, il lavoro che fa l’associazione parte dai  più piccoli.  Circa 200 quelli che vengono seguiti costantemente dai volontari.

«Abitano tutti a Mazara e sono quasi tutti tunisini – prosegue Ferro -,  con una piccola presenza Rom. Non si tratta, però, della classica comunità itinerante, quanto di una famiglia stanziale che si  è stabilita qui negli anni ’90, dopo la guerra neri Balcani, e non è più andata via».

Anche per loro si è pensato e strutturato un’attività  di accoglienza, ma non come si potrebbe pensare.

«Non facciamo attività residenziale. Abbiamo, però, anche una piccola comunità di accoglienza aperta per minori non accompagnati. Al momento sono 12 minori e 8 neomaggiorenni. Questi ultimi solitamente, al compimento dei 18 anni, vengono  trasferiti nei due appartamenti che abbiamo riservato a un progetto di semi-autonomia. Qui abitano per 6 mesi insieme a un educatore, che li guida in un percorso di autonomia  personale. Decideranno, poi,  loro se vivere la propria vita nel territorio mazzarese o andare dove credono sia più giusto per le personali aspirazioni. È un progetto ex Sprar, realizzato attraverso il sistema di accoglienza».

La provenienza geografica dipende dal flusso migratorio del momento.

«Per adesso arrivano soprattutto dal Bangladesh e dalla Tunisia, ma negli anni  scorsi abbiamo avuto molti ivoriani e nigeriani. Il flusso cambia a seconda alle politiche migratorie, come dico io delle barriere di ingresso. Il percorso libico è sbarrato, quindi è più facile l’accesso attraverso il Bangladesh. I tunisini, per esempio, sono sempre in fuga dal loro paese.

Il canto per socializzare

Quasi scontato,  quindi, intervenire con progetti molto concreti.

«Grazie alla campagna CEI “Liberi di partire liberi di restare” stiamo portando avanti un progetto in Tunisia contro le migrazioni forzate per fare in modo che, grazie ad alcune  attività lavorative, i giovani  non salgano più sui barconi per venire a cercare opportunità lavorative in Europa, rischiando la vita. Il progetto si svolge in collaborazione con i Salesiani a Manuba, nella periferia di Tunisi, poi sotto al confine con la Libia,  e  coinvolge alcune ragazze del posto in un laboratorio di riciclo delle plastiche. Praticamente creano borse, scarpe e accessori, producendo valore aggiunto per la loro terra. C’è pure un laboratorio per la produzione di olii essenziali».

Un lavoro certosino, quindi veramente prezioso, da considerare  una vera e propria officina culturale. Affiancato al supporto allo studio, infatti, ci sono i “Cantieri educativi“, dove nascono e si sviluppano passioni attraverso l’arte, la ceramica, la cucina, l’attività motoria. Cantieri che, in estate, invadono i vicoli del centro storico con la gioia di respirare e contaminarsi propria dei bambini.

Un momento al quale partecipa anche la città, che vive così il suo centro storico in maniera assoluta, anche perché, essendo una zona protetta dal traffico veicolare e, soprattutto  nelle prime ore dalla mattinata, riparato dal sole, si trasforma in un’isola, un’oasi nella quale il senso dell’accoglienza diventa pieno e assume tutta la sua valenza sociale e culturale. Occasione unica che viene colta anche dagli adulti che, grazie ai Cantieri proposti da questa effervescente associazione, tornano per un po’ anche loro bambini, riconquistando una certa innocenza e una totale assenza di pregiudizi.

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