Cosenza Folk:Ambasciatori di cultura musicale e tradizioni cosentine

FaceApp_1544889587372-1IMG-20181215-WA0003FaceApp_1544889728238-1In radio con noi Pino Artese, presidente dell’associazione Cosenza Folk,operativa dal 2007 e che da anni porta nelle piazze calabresi la musica popolare, i balli popolari, e con grande sacrificio lavora alla riscoperta dei testi folk locali.E’ proprio grazie a questo importante patrimonio di conoscenza,che la regione Calabria ha individuato nell’associazione tutti i requisiti per contribuire alla valorizzazione e divulgazione della tradizione folkloristica calabrese ed,insieme alla Provincia di Cosenza,ha concesso il patrocinio e l’utilizzo del logo per tutti gli eventi senza scopo di lucro.

Dato il periodo natalizio in corso,con il signor Artese abbiamo parlato della Strina Cosentina.

Non esiste una strina calabrese vera e propria, ma diverse strine identificabili per aree geografiche, ognuno ha la sua ed il testo di questo canto cambia sempre in base al luogo.

Strumenti, regole, testi, melodie e usanze cambiano da paese in paese.

La strina natalizia è un canto di questua e le sue origini risalgono alla notte dei tempi, non abbiamo quindi certezze sulla sua provenienza.

In Calabria è un rituale folkloristico legato al tempo del Capodanno, infatti l’etimologia del termine “strenna” – (in dialetto strina) per gli antichi romani (strèna) – indicava i regali di buon augurio che ci si scambiava nelle calende di gennaio, all’inizio dell’anno.

“nui vi cantamu ëa strina è Capudannu,

ohi è Capudannu

e ví aguramu cientu buoni anni”

Un modo quindi per esorcizzare la fine dell’anno e un augurio di prosperità per quello a venire, quasi un canto propiziatorio che aveva regole ben precise.

Si partiva per andare da amici con un numeroso gruppo di persone, tra “sonaturi” e “cantature” (colui che intonava le strofe) e si andava in giro per le case o le botteghe, intonando la strina di Natale per ricevere in cambio doni.

Man mano che si andava in giro per le case veniva coinvolta altra gente, fino all’alba.

Fino ad una determinata strofa si cantava davanti la porta di casa, fin quando i “sonaturi” (suonatori) non incitavano il padrone di casa ad aprire loro le porte per entrare a far festa mangiando e bevendo.

La più nota per via dell’efficace folk-marketing è la strina della provincia di Cosenza (a strina cusentina) che si suona prevalentemente con accordi minori, un canto calabrese melodico molto lungo con ripetizione del coro al “cantaturi” che scandiva la frase e cominciava a “strinare”.

La particolarità di questa strina sono i testi originali che trattano diversi temi: dalla critica sociale a quella politica, dal moralismo alla contestazione e alla denuncia. Basti pensare che nel periodo fascista queste strenne furono bandite.

Anche gli strumenti della strina cambiano di zona in zona. Il più utilizzato è la fisarmonica, ma ci sono strumenti della tradizione agropastorale, utensili o strumenti creati appositamente.

A Cosenza si utilizza ancora  “u’ murtali” ,detto anche “ammacca sale”, un utensile che serve per pestare il sale o le spezie. Si trova ancora nei mercati ed è in pietra, in legno o in ottone, quest’ultimo è quello utilizzato per la strenna.

Un particolare strumento diffuso nella Sila e nella Presila calabrese è lo zugghi. Questo termine veniva utilizzato anche per indicare il canto augurale natalizio di San Giovanni in Fiore, molto simile alla strenna.

Lo zugghi è uno strumento a
frizione
 utilizzato per dare ritmo e veniva realizzato con un barattolo di latta o di coccio, ricoperto di pelle al cui centro veniva inserita una canna di bambù.

Ma il più famoso strumento del Natale calabrese resta la zampogna.

La strenna o strina è quindi un’antica tradizione natalizia ricca di infinite sfumature.

E sulle note della sua “A Strina”,il Sig Artese ci ha salutati con queste considerazioni finali:
” Ogni angolo della Calabria ha la sua strina, un canto tradizionale che pian piano rischia di dissolversi nell’oblio,come tutto il resto del nostro patrimonio culturale locale.
Quanto descritto è sì storia del passato, ma è pure una bellissima storia del presente che,mi auguro,difficilmente il progresso  riuscira’ a far dimenticare.
I canti calabresi sono veramente belli e ricchi di significato. In questa epoca globalizzante, non possiamo  non cogliervi una duplice sensazione che li accomuna quasi tutti : la malinconia e l’angosciosa rassegnazione, inevitabile implicazione , ma anche e sopratutto, difensiva voglia di tradizione che cerca di annullare il distacco e la lontananza dalle proprie origini
Sentimento necessario per un’auspicabile  miglior divenire”.
E noi di “Pazzi per la radio 3.0” non possiamo che essere d’accordo!

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