Pena e cura in un’ottica di genere. Riflessioni sul concetto di salute e benessere per le donne detenute

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RUBRICA PILLOLE DI BIL – 1

A cura di Luciana Delle Donne e Micol Ferrara
Chi conosce Made in Carcere lo sa bene. Qui si producono manufatti “diversa(mente) utili”: borse, accessori, originali e tutti colorati. Prodotti “utili e futili”, confezionati da donne al margine della società. L’obiettivo è quello di coniugare buon senso e creatività dimostrando attraverso la raccolta di tessuti di scarto, e la realizzazione di laboratori in carcere con donne detenute, che “il bello esiste va ricercato ovunque”. Offrendo in questo modo una seconda chance a Donne e tessuti. Il modello di sviluppo sostenibile – a cui ambisce – non è quello della classica charity bensì quello di una impresa sociale, in grado di promuovere benessere a persone svantaggiate. Il lavoro svolto fino ad oggi ha permesso di “sdoganare” la paura di occuparsi di questi luoghi di marginalità per prendersene cura.
Un valore sempre più necessario in un momento, come quello attuale, nel quale la crisi economica e sociale stanno indiscutibilmente portando ad un crollo di fiducia, ad un vero e proprio smarrimento di valori. Si fa, dunque, sempre più urgente la necessità di dotarci di una “cassetta degli attrezzi”comune, mossi dalla profonda convinzione che solo promuovendo il benessere si potrà creare ricchezza sociale ineludibile base di una nuova economia circolare. In grado di ripensare e rigenerare i modelli economici verso modelli circolari grazie a innovazione, design, tecnologia e nuove strategie di comunicazione. Tutti temi che la rubrica affronterà a cadenza mensile in collaborazione con il comitato scientifico del progetto BIL (Benessere Interno Lordo) in un’ottica interdisciplinare.

Buona lettura.

 

 

 

Pena e cura in un’ottica di genere.

 Riflessioni sul concetto di salute e benessere per le donne detenute
          La detenzione femminile in Italia riguarda il 4-5% della intera popolazione detenuta. Gli Istituti esclusivamente femminili sono solo quattro (Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia-Giudecca) mentre la maggior parte delle donne è ristretta in sezioni all’interno di carceri maschili non sempre idonee ai bisogni di genere.
Le detenute godono di scarsa attenzione sia per quanto riguarda i bisogni di salute riguardanti la prevenzione e i trattamenti di varie patologie femminili, sia per quanto riguarda le opportunità di lavoro, studio e formazione che sono disponibili alle donne in misura ancora minore rispetto agli uomini.
          Inoltre non c’è ancora sufficiente consapevolezza del fatto che il benessere e la salute delle donne sono significativamente influenzati da un complesso di fattori non solo biologici ma anche sociali, etici e di appartenenza culturale che implicano anche il peso dello stigma sociale. Ad oggi, anche nell’Amministrazione penitenziaria sta emergendo sempre più la consapevolezza di questa disparità e la necessità di approfondire la conoscenze in tema di differenze di genere al fine di modulare l’intervento riabilitativo in relazione ai bisogni.
In generale le donne sentono più degli uomini il peso della separazione dalla propria realtà sociale e della responsabilità affettiva verso i familiari perciò la forzata lontananza soprattutto dai figli, è una delle cause di maggior sofferenza per le detenute che sono oppresse dal senso di colpa.
Dal punto di vista biologico, poiché le donne vivono direttamente i ritmi della vita attraverso la ciclicità delle mestruazioni, la gravidanza e la maternità, l’invecchiamento e la menopausa, risentono più duramente rispetto agli uomini della innaturalità del tempo in carcere che sconvolge anche i tempi del loro corpo. Non a caso i disturbi del ciclo mestruale sono il primo sintomo che compare nello stato detentivo. Le donne sono biologicamente più vulnerabili alla depressione: nella popolazione generale si stima che le donne ne soffrano in misura doppia rispetto agli uomini e l’OMS considera questa malattia la principale causa di disabilità per le donne nel mondo. La detenzione favorisce in modo significativo l’insorgere di tale patologia tra le donne in carcere.
          D’altro canto però, femminilità non significa sempre e solo vulnerabilità. Le caratteristiche femminili quali empatia, capacità di relazione, resilienza, creatività, energia vitale e attitudine alla cura sono punti di forza su cui intervenire con iniziative genere-specifiche. Ne è esempio emblematico la recente realizzazione della casa-rifugio “M.A.M.A. Modulo per l’affettività e la maternità” dove le detenute madri possono ritrovare un proprio spazio ed un difficile ma possibile equilibrio psico-fisico tra la condizione di madre e quella di detenuta e quindi ottenere un maggiore indice di “benessere”. La formazione, punto cardine per il miglioramento del benessere psico-fisico e quindi della salute della persona, può essere implementata e orientata verso conoscenze e attività più consone alla femminilità ad esempio incentivando le attività artigianali che valorizzano capacità creative e manualità, come pure è possibile promuovere l’attività motoria e sportiva per trovare un nuovo e migliore rapporto con il proprio corpo e con la propria immagine. Anche imparare a mangiare in modo sano e acquisire abitudini salutari possono essere strumenti positivi per il benessere e la cura di sé e degli altri: ad esempio sapere che l’uso di bevande alcoliche può essere nocivo per la salute femminile molto più che per l’uomo, e che l’alcol è un teratogeno assolutamente da non consumare in gravidanza per evitare al nascituro gravi ed irreversibili danni da esposizione alcolica fetale, può motivare la donna ad assumere ed insegnare ai suoi cari comportamenti più salutari.

Oggi alla luce delle conoscenze scientifiche in tema di differenze di genere sia dal punto di vista fisico che psicologico, è possibile ripensare in un’ottica di genere gli interventi strutturali all’interno nella popolazione detenuta per favorire il cambiamento, utilizzare il tempo della pena come tempo della cura e restituire alla libertà uomini e donne più consapevoli di sé e del proprio ruolo all’interno della famiglia e della società.

Rosanna Mancinelli

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