Emergenza casa, serve una risposta

Il co-housing nasce a Copenhagen come forma di residenzialità, con spazi comuni destinati all’utilizzo collettivo. Ma qual è lo scenario italiano in tema di abitare?

di Mariarosaria Petti

Un milione e 708 mila famiglie italiane si trova attualmente senza una casa. È la stima di Federcasa e Nomisma, resa nota a inizio 2018. Una ferita che continua a sanguinare, diretta conseguenza di una crisi generale: meno dieci punti di Pil e 2 milioni di posti di lavoro persi significano più povertà e debiti e meno consumi. Il prezzo degli affitti è aumentato rispetto all’inizio del millennio, quando la metà della popolazione spendeva per i canoni di locazione non più del 20% del reddito annuo, contro il 75% dell’attuale. Le lunghe liste d’attese per un alloggio popolare e le occupazioni abusive rischiano di inasprire sempre di più una situazione già drammatica, intorno alla quale si polarizzano le disuguaglianze sociali: i più abbienti con seconde e terze case. I “nuovi” poveri senza un tetto sulla testa. L’emergenza casa si colloca in questo scenario.

Sono stati sperimentati diversi modelli di co-housing, fino al felice incontro tra la proposta residenziale innovativa e il mondo delle fragilità sociali.

Una casa per tutti. Il diritto all’abitazione è sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un baluardo per la dignità umana. La casa è ciò che dà forma all’identità della persona, il luogo sicuro dove scrivere la propria biografia. Una risposta all’emergenza abitativa potrebbe essere quella del co-housing, termine con cui si indica un insediamento abitativo composto da alloggi privati, corredato da ampi spazi comuni destinati all’uso collettivo e alla condivisione tra i co-residenti. Il primo esperimento moderno di co-housing può essere considerato il palazzo realizzato da Otto Fick nel 1903 a Copenhagen e chiamato Fick’s Collective. L’edificio aveva una sola cucina centrale alla quale potevano accedere tutti gli appartamenti. Da allora sono stati sperimentati diversi modelli di co-housing, fino al felice incontro tra la proposta residenziale innovativa e il mondo delle fragilità sociali. Si può definire co-housing sociale puro la libera scelta come stile di vita di quei residenti che abitano in appartamento da soli o con altre persone (massimo 2-3) e condividono spazi comuni. Si tratta invece di un co-housing mediato quando i residenti vivono una situazione di fragilità e necessitano di un supporto sociale. Il percorso, in questi casi, è piuttosto lungo (1 anno circa) e solo dopo l’acquisizione di autonomia, i co-residenti possono andare a vivere da soli. L’housing sociale è la residenzialità in appartamenti messi a disposizione con un supporto assistenziale leggero e per un tempo medio-lungo, durante il quale le persone acquisiscono competenze (incubatore) da riproporre in futuro.

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