Il Progresso è morto…. viva il Progresso !

« Non è affatto vero che io non credo nel progresso. Io credo, nel progresso. Non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo. Ed è questo sviluppo che dà alla mia natura gaia una svolta tremendamente triste, quasi tragica. »

Pier Paolo Pasolini

 Una Comunità che non è consapevole della propria Memoria non ha Futuro.

Se non è consapevole trascura il lavoro continuo di “manutenzione” che ha prodotto, nel tempo, il proprio Capitale Terri­toriale.

Il Capitale è quel patrimonio di sapienza locale che ogni società ha costruito per sé, e che esprime:

–     una capacità faticosamente costruita,

–     una propria coerenza,

–     un accumulo di storia e di cultura,

–     una ricchezza sociale,

–     un ambiente caratteristico,

–     uno speciale carattere collettivo,
fatto di regole, di servizi e di relazioni

U’Vicinanzo si propone di ricostruire le condizioni virtuose :

–     perché il presìdio del territorio sia di nuovo ritenuto importante,

–     perché diminuisca la solitudine e l’isolamento.

–     perché si valorizzino le cose che si sanno fare.

Nelle nostre Comunità sopravvive ancora e nonostante tutto un modello di relazione, uno stile di vita socialmente utile, radicale e radicato.

Un modello che ha una vocazione naturale per lo sviluppo equo e sostenibile e che, come nel passato, può ancora produrre progresso.

Dell’idea di progresso, abbiamo bisogno.

Non di quella di uno sviluppo senza limiti, questo l’abbiamo ormai capito.

Il benessere materiale del nostro tempo è formidabile, mai nella storia una società aveva raggiunto traguardi così speciali.

Ma è un benessere che ha anche prodotto, nello stesso tempo, un drammatico insuccesso morale, nuove povertà, il degrado di antiche solidarietà, il dilagare degli egocentrismi, malesseri diffusi e indefiniti.

La lezione di Pasolini, la sua contrapposizione tra sviluppo e progresso, ora l’abbiamo imparata.

Finora, ubriacati dall’idea di sviluppo che da tutte le parti si promuoveva, abbiamo cercato la felicità fuori di noi, all’esterno della casa, del cortile, della città, nella dimensione globale che ci veniva proposta.

Ma l’esperienza del globale porta con sé l’annullamento della presenza fisica: nell’era di Internet non esiste più la geografia, il tempo e lo spazio non hanno più alcun senso, la distanza tra due punti si è annullata.

In un click, e senza che ne abbiamo coscienza, un segnale fa il giro del Pianeta attraversando a caso nodi e reti, e torna nel nostro terminale prima ancora che le nostre dita abbiano lasciato il tasto.

Abbiamo gustato l’idea di essere ubiqui, abbiamo dissolto lo spazio e risolto il mistero del “qui e in ogni luogo”.

Abbiamo assaggiata la Mela, abbiamo mangiato dall’albero del Bene e del Male, e ce ne siamo inorgogliti.

Senza che ce ne rendessimo conto uno dei grandi Misteri divini si è dissolto, ed essere dovunque nello stesso tempo è diventata un’esperienza quotidiana.

Anche lo spazio intorno mostra confini confusi… “ La città è ovunque; quindi non vi è più città” (Cacciari, 2004).

Lo spazio intorno  non è più “ il mio”, il Genius loci non è più esclusivo, il suo carattere, la sua anima hanno ormai un significato debole, sempre più evanescente “.. il non-luogo rappresenta la perdita di centralità e di identità di un luogo: un processo che caratterizza la società post-moderna, metropolitana e globalizzata” ( Marc Augè “Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernitè”).

Nella smaterializzazione che ne consegue sperimentiamo un luogo immaginario ma che ha, lui sì, una presenza forte.

Un a-luogo che comprende tutti i luoghi e nel quale Internet ci accompagna come attraverso una Star gate, una porta astrale che ci conduce in uno spazio a-dimensionale eppure con infinite dimensioni in sincronia: siamo tutti nello stesso tempo e dovunque.

Non è più necessario essere qui o lì, l’esperienza di un altrove finisce per coincidere con questo iper-luogo immaginario del quale tutti ci sentiamo partecipi.

I luoghi e i paesaggi diventano equivalenti, puri contenitori senza una qualità specifica.

Tutti uguali, tutti ugualmente indifferenti.

Il nostro mondo appare completamente cambiato sotto i nostri occhi e non sappiamo più leggerlo.

È un prezzo salato, quello che paghiamo: per  sperimentare l’appartenenza alla globalità rischiamo di non appartenere più alla località.

La perdita delle radici disorienta, mancano riferimenti per distinguere il passato dall’oggi e dal domani.

Abbiamo millenni di sapienza alle nostre spalle, e allora ben venga una nuova sapienza, ma dobbiamo digerirla e farla nostra, come abbiamo sempre fatto : Graecia capta ferum victorem cepit (Orazio): conquistata, la Grecia seppe vincere il suo feroce conquistatore.

Da tempo abbiamo imparato a imparare dal diverso.

È il segreto che fa del Mediterraneo un posto di persone speciali: sappiamo crescere aumentando le nostre capacità sedimentate, senza barattarle con un nuovo che altrimenti non ci apparterrebbe.

Dobbiamo, dunque, inventarci una nuova sintassi per ri-descrivere i luoghi e ri-tornare alla progettazione del futuro.

Dobbiamo costruire una nuova idea di progresso reattivo e policentrico, capace di “portare dentro” i nuovi stranieri che dovranno aumentare la nostra sapienza.

Ma perché sia concreto, qualunque progresso deve essere radicato nella società che lo produce, e soprattutto deve essere condiviso dalle persone che vi sono coinvolte.

Tocca a noi, tutti insieme, ricostruirne le condizioni per un degno ri-torno al futuro.

Ricordandoci del Genius loci, del reciproco sostegno, dell’ospitalità e del confronto con un’alterità che è ormai tra noi e che non può essere sfuggita.

Siamo come un albero (Ferrarotti, 2009), che per essere davvero “sostenibile” non cresce fino al cielo, riconoscendo i propri limiti, e che intanto cresce in due direzioni:  ha bisogno di cielo, di aria, di orizzonti e di paesaggi e nello stesso tempo deve approfondire le radici nella sua terra, deve succhiarne l’essenza e deve garantirsi, con questa, sopravvivenza, capacità e creatività.

Regioni

Argomenti