Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni

…. all’origine semplice luogo di  riunione, la piazza si circonda ben presto di portici e arcate, ripari contro il sole e contro la pioggia. Ora accoglie solo eccezionalmente il mercato,  mentre riunisce intorno a sé i principali monumenti religiosi e civili, cui serve nello stesso tempo da anticamera e da proscenio….”

Fernand Braudel

È la conformazione di un luogo, nel suo insieme di forma fisica e di predisposizione naturale a favorire i rapporti tra persone e nuclei abitati, che produce relazioni di vicinato, oppure sono queste ultime che danno luogo alla costruzione di un contenitore adatto a  questa particolare forma sociale?

È nato prima cioè il cortile, ad esempio, o le complesse dinamiche di relazione tra i suoi abitanti?

Parlando di vicinanzo siamo portati ad immaginare lo spazio della nostra infanzia.

All’esterno della casa ma in luogo protetto, controllato dalla società più prossima e che costituiva una specie di zona franca, non ancora “esterna” e frontiera semi-permeabile, famiglia allargata e cuscinetto protettivo rispetto al  Mondo che era fuori.

E in effetti dall’interno della casa, luogo del privato per eccellenza e della identità familiare, si passava alla dimensione di una collettività  confinata, che in qualche modo suggeriva ancora un’idea di sicurezza e di autonomia.

Ma che nello stesso tempo entrava in relazione con altri vicinanzi, come in una rete sociale di secondo livello.

In un certo senso rappresentava un ambito controllato, intermedio tra l’individuo e la società.

Un sistema che naturalmente non poteva superare la dimensione di pochi gruppi familiari, perché altrimenti sarebbe sfuggito al controllo.

E infatti man mano che gli abitanti che vi facevano riferimento aumentavano oltre il limite della governabilità, l’esuberanza si replicava in un nuovo cortile.

Anzi, in una nuova Comunità/cortile, diversa anche se rimaneva in relazione con il cortile precedente.

Un po’ come succedeva con le colonie greche, prodotte per necessità di esubero, e che rimanevano in relazione con la Madre Patria.

Relazione che poteva essere anche conflittuale, potendosi il cortile sviluppare in opposizione ad altri cortili, ad altri vicinati.

Competizione a volte ritualizzata come quelle, arrivate fino a noi, tra i quartieri delle città medievali.

Eventi recenti ne hanno stravolto lo spazio:

–  da un lato l’emigrazione ha rarefatto il presidio stesso dei cortili, potandolo al di sotto della soglia del buon funzionamento,

–  dall’altro la logica degli standard urbanistici ha dato una nuova e più grande dimensione agli spazi liberi tra gli edifici, rendendo più difficile l’instaurarsi delle relazioni di prossimità.

La dimensione delle nuove realtà residenziali ha del resto aumentato, nel contempo, la quantità di abitanti e la diversità di esigenze e di relazioni con l’esterno, mandando in crisi la dimensione ottimale del sistema.

Ma davvero lo spazio urbano è stato così determinante per la realizzazione del vicinanzo, oppure sono le relazioni generate da quest’ultimo che hanno a loro volta organizzato gli spazi, fino a determinare vere e proprie tipologie urbane?

I cortili, i portici, le fontane pubbliche, le piazze e le stesse strade se opportunamente conformate, sono insomma motori in grado di riprodurre ancora vicinanzo?

Certo non è mai stato così automatico, e le condizioni sociali non sono nemmeno più quelle di una volta.

Neppure le esigenze e le modalità di soddisfacimento dei bisogni sono ormai le stesse.

L’ambito delle relazioni si è poi dilatato a dismisura nell’era di Internet: una comunità elettronica che produce dibattito, dialogo e relazioni tra individui che sono separati sul piano territoriale, ma che sono uniti in una comunità di interessi.

È il vicinato virtuale, non più legato al territorio e alla prossimità fisica, ma piuttosto al possesso di hardware e di software.

Internet produce vicinati che pur in assenza della conoscenza diretta sono addirittura in grado di mobilitare veramente le persone oltre che le idee, fino a spingerle all’azione comune.

E a costruire la cultura di una Memoria comune.

Memoria che una volta era un riferimento certo all’identità, alle radici, ai motivi di una diversità che ci rendeva unici.

Oggi il passato rischia sempre più di assomigliare a un luogo nel quale tornare per un semplice esercizio di ricordi.

Ricordi che si considerano comuni a tutto il genere umano, come dentro una Grande Storia, indifferente ai singoli contesti.

Come in un colossale deposito di scenari culturali, una specie di archivio centrale del tempo, al quale si può fare ricorso come meglio si crede.

Per attingere immagini slegate dalla storia, per esempio, in un malinteso senso di comunanza che rende irrilevanti le differenze e sradica dal proprio passato.

Una esigenza che spesso si accontenta di nostalgia, e che si limita a riesumare le glorie di una volta trasformandole in folklore.

Tutto questo appare scontato e inevitabile, in una società che considera i segni completamente slegati dai loro significanti sociali.

E tutto il Mondo diventa una specie di Disneyland.

Si celebrano cortei medievali e si rievocano eventi mai vissuti, ci si veste di ricordi appartenuti ad altri.

È un tritacarne che nel tentativo di offrire un aspetto accattivante al mercato turistico, in realtà mortifica tutte le vere aspirazioni ad essere frequentati da un forestiero che dovrebbe portare ricchezza.

Forestiero che invece non trova alcun motivo per venire, visto che dappertutto trova la stessa identica offerta.

È uno scenario che rende fragile l’idea del ricorso a tipologie, a stili, a comportamenti, a usanze collaudate e capacità tradizionali nell’illusione che possano ancora produrre, per chissà quali automatismi, una rinnovata Comunità sapiente e consapevole.

Il ritorno alla sobrietà dimenticata, alle relazioni virtuose, allo scambio reciproco di Servizi e di Beni, al nuovo welfare, a un nuovo senso del  Vicinanzo, dovrà forse passare attraverso pratiche inusuali e ancora da inventare?

 

Regioni

Argomenti