Le cose, le persone

“… A Ersilia, per stabilire i rapporti che regolano la vita della Città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco e neri, a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, di autorità, rappresentanza.

Quando i fili sono tanti che non si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via; le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili. ...”

Le città invisibili, Italo Calvino

Dei luoghi Calvino analizza l’aspetto sociale, senza il quale le città stesse non esisterebbero nemmeno.

Per Ersilia evidenzia la consistenza stessa dei rapporti che definiscono la vita e la storia dei luoghi, e che fanno di questi una città.

Quando  si viaggia per le Ersilie che furono, di queste si incontrano le rovine, spesso senza ormai le mura e le ossa dei morti, che non durano.

Sempre però rimane, visibile per chi sa vedere, la ragnatela dei rapporti intricati che ne segnavano la forma e che sono ancora in grado di riprodurne l’essenza.

La “città sociale ” è in questo.

E’ dovunque decine, o centinaia, o migliaia di persone si conoscono, stabiliscono legami, rapporti più o meno regolari e ordinati.

Non è altro:  non soldi, non utilità o interesse. Quelli non durano.

E’ questa ragnatela di legami, invece, che costituisce l’essenza più vera della società, l’unica che dura più delle sue case, dei monumenti.

E’ la sua anima e il suo perché, ed è capace di resistere al passare del tempo più di quanto possano fare le mura e le persone stesse.

Quello delle relazioni è l’aspetto tra i più importanti della sfera umana, tocca l’emotività e può portare in contatto con paure e ferite profonde.

Per questo spesso le relazioni non appaiono gratificanti.

A volte continuano ad esistere non perchè ci sia un’autenticità di fondo, ma perchè c’è la invece la voglia di esprimere i bisogni insoddisfatti, e quelle paure profonde e non risolte che si sente il bisogno di scaricare sull’altro.

Perciò possono trasformarsi in autentici “buchi neri”.

Ma più spesso, per fortuna, sono fonte di benessere.

Sono fondate sull’empatia, sulla capacità cioè di riconoscere nell’altro una parte di sè stessi, e contengono emozioni, non soltanto idee e valori.

Sono l’incontro tra soggetti che attraverso la relazione si trasformano, acquistando ciascuno nuove risorse emotive e cognitive.

Empatia in fondo non è sostituirsi a un’altro, ma è “unirsi” senza dimenticarsi di sè.

E’ crescere, dunque, ed è continuare insieme pur restando diversi.

L’empatia può insegnare a non imporre il proprio punto di vista ma ad elaborare invece, e insieme, una nuova prospettiva che sia stimolo per superare un problema.

La sua forza consiste nel fatto che la sua contaminazione ci seguirà comunque, e che una volta avvenuta continuerà per tutta la vita.

Anche se lontana, anche se dimenticata.

E’ proprio attraverso l’empatia che la reIazione ci provoca com-passione, cioè partecipazione emotiva al problema dell’altro.

Condizione necessaria, per aiutare davvero.

E questa in fondo è anche condizione essenziale per il  volontariato, ed è l’espressione più genuina di partecipazione e di sostegno “dalla parte di chi chiede aiuto”.

Perciò, anche quando la relazione produce sofferenza, questa è utile, ed è “sociale”.

Risolve una situazione “qui ed ora”, ma costruisce anche le premesse, ad esempio,  perchè una Buona pratica sia sostenibile.

Che sia, cioè, tecnica di aiuto concreto ripetibile nel tempo, ed anche codice di comportamento virtuoso, destinato a durare e a produrre utile, sopravvivendo a sè stessa.

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