L’intervista ad Alice Padovani, autrice dell’opera “Le radici esposte”

Dal 5 al 10 luglio 2018 l’artista e Alice Padovani è la protagonista di Le radici esposte, la seconda delle nostre residenze artistiche targate #WeAreTaranto.

L’opera verrà inaugurata il 10 luglio all’interno del chiostro del MuDi – Museo Diocesano di Arte Sacra di Taranto.

Abbiamo chiesto ad Alice di raccontarci un pò di se dell’opera che realizzerà per Green Routes.

Ciao Alice ci racconti un pò di te? Qual è stata la tua formazione ?

Il mio percorso si è sviluppato in maniera non convenzionale passando attraverso una moltitudine di generi artistici e di studi. Sono laureata in filosofia e in arti visive: negli anni degli studi ho lavorato a lungo nel contesto del teatro contemporaneo sia come attrice, sia come regista, per poi dedicarmi anche al lavoro di grafica pubblicitaria per il Comune di Modena. Fondamentalmente sono una persona molto curiosa: mi piace scoprire cose nuove e credo che il mio lavoro di artista tragga grande nutrimento da queste premesse, così come dalla mia formazione estremamente eterogenea.

Quando hai capito di voler fare l’artista?

Non credo ci sia stato un momento specifico in cui è arrivata l’illuminazione, ho sempre saputo di voler fare questo, fin da bambina piccolissima. Di certo nel tempo è maturata una diversa consapevolezza e con il passare degli anni ho lavorato duramente per far si che questo sogno potesse concretizzarsi. Ad ogni modo, il mio viaggio come “artista” non è che all’inizio e mi aspetto di trovarmi davanti, in ugual misura, fallimenti e occasioni.

Ci daresti una definizione della tuo progetto artistico?

Credo si tratti di un’arte fondamentalmente concettuale che, tuttavia, non abbandona mai il desiderio della forma e di una certa ricerca del bello. Mi sento come uno scienziato che cerca di fondere la spontaneità dell’impulso creativo, al rigore del metodo scientifico. Il mio lavoro è simile al lavoro minuzioso dell’entomologo, dove però la raccolta, lo studio, la classificazione, invece di cercare risposte, pongono domande.

Quali sono le tue influenze artistiche?

Gli artisti che amo sono così tanti che non saprei indicare chi e in che misura abbia influenzato maggiormente il mio lavoro. I miei interessi sono eclettici: subisco il fascino di stili, epoche storiche e artisti profondamente diversi. Non seguo una corrente specifica e non pongo limiti alla mia curiosità.

Com’è nata l’opera “Le Radici Esposte”? Quali sono il concept e l’ispirazione?

Mostrare le proprie radici è un atto di forza e fragilità al contempo. Significa mettere a nudo la natura, quella più profonda e intima. Significa esporre allo sguardo altrui il lato più vulnerabile e personale, l’angolo dove sono custoditi ricordi e ombre, tesori e dolori.

Come un albero capovolto che mostra le proprie radici, ci capita di mostrare la nostra parte più vera, quando parliamo al mondo della nostra memoria. Dai grandi eventi ai momenti più futili, ci ricorda che il nostro essere animale e terreno affonda le radici nella stessa terra che ospitava quest’albero, ormai secco.

Siamo animali, la natura resiste dentro di noi attraverso la memoria, radice del nostro passato che ci accomuna alle piante e alle bestie, che riporta alla luce sentimenti reconditi e irruenti, attimi di puro istinto.

L’albero capovolto, con le sue braccia un tempo aggrappate al mondo dalle profondità e ora protese all’aria, è invocato a custode del nostro passaggio. Una chiave, un sasso, un frammento d’infanzia saranno abbandonati tra le sue radici e, incastonati come gemme preziose, daranno origine a una sorta di altare vegetale che accoglierà chiunque vorrà lasciare una scheggia della propria storia.

Per la creazione dell’opera è previsto un coinvolgimento attivo di persone interessate al progetto per quanto riguarda il reperimento e la donazione dei piccoli oggetti o frammenti di oggetti da incastonare all’interno della struttura radicale dell‘albero capovolto.

Alle persone verrà chiesto di donare un piccolo oggetto o frammento di oggetto che rimanda a un ricordo personale, ancora meglio se legato alla città. L’oggetto, anche se privo di valore reale quindi deve rappresentare una memoria personale e o collettiva, come un “ex-voto” deve simboleggiare un istante, un sentimento, un desiderio, un’intenzione.

Durante il momento d’incontro con i residenti, inoltre, tutti gli oggetti raccolti e i racconti ad essi collegati saranno fotografati e registrati con la possibilità, in un secondo momento, di essere pubblicati in una sorta di enciclopedia della memoria personale.

“Le radici esposte” ha delle connessioni con i tuoi precedenti lavori?

Credo sia facile trovare un’origine comune e piuttosto chiara in tutti i miei lavori. Cambiano le forme, cambiano le modalità espressive su cui si fondano le opere (performance, installazione, disegno) ma ciò che non cambia mai è la ricerca della memoria, il tentativo di trattenere ciò che il tempo tende a cancellare.

Immergendo lo sguardo nella mia personale ossessione della perdita, della morte, la memoria diventa il punto di origine da cui osservare l’esistenza.

Nelle mie opere propongo frammenti di una natura decontestualizzata e creo collezioni che sono, al contempo, cumuli e tracce: nature morte in cui fragilità e solidità giocano con la loro stessa materia e dove il tempo sembra aver perduto il proprio diritto di corruzione. Elementi vegetali, animali e umani dialogano assieme nel tentativo di instaurare un equilibrio tra vita e morte, tra l’effimero del corpo organico e la solidità della forma inorganica.

Alcune opere di Alice Padovani

www.alicepadovani.com

 

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