Discarica ex Vergine, il fronte del no si allarga: osservazioni tecniche e pressione civile contro la riapertura

Taranto Today |

Documenti consegnati alla Provincia. Attiva Lizzano e il PD denunciano contaminazioni ancora attive, rischi sanitari e inadempienze del gestore. Decisivo il confronto del 3 luglio

Non è una semplice raccolta firme né una protesta emotiva: sulla riattivazione della discarica ex Vergine di contrada Palombara – oggi di proprietà della società Lutum s.r.l. di Antonio Albanese  – si è ormai aperta una vertenza territoriale costruita su dati, perizie, responsabilità e norme ambientali. L’incontro pubblico svoltosi oggi, lunedì 16 giugno,  presso il Palazzo della Provincia di Taranto ha segnato un punto di svolta: per la prima volta comitati civici e forze politiche hanno messo nero su bianco le loro osservazioni tecniche, chiedendo ufficialmente agli enti coinvolti di opporsi alla riapertura dell’impianto.

Due i documenti principali consegnati e discussi ovvero quello dell’associazione Attiva Lizzano e quello del Partito Democratico di Lizzano che appaiono chiari e strutturati: il sito è inquinato, la messa in sicurezza è incompleta, la bonifica è assente, e le emissioni pericolose continuano a interessare il territorio.

Entrambe le osservazioni – rese pubbliche durante l’incontro e trasmesse agli enti convocati alla Conferenza dei Servizi del prossimo 3 luglio – puntano con decisione su quattro nodi centrali: la contaminazione delle matrici ambientali, i rischi sanitari documentati, le gravi inadempienze della società Lutum e la violazione del quadro normativo vigente.

La relazione redatta da Attiva Lizzano, inviata alla Provincia e ai sindaci dei comuni interessati, espone in modo dettagliato almeno sei criticità tecniche fondamentali, partendo dall’inadempienza della società Lutum rispetto alla messa in sicurezza d’emergenza (MISE). “Lutum è il soggetto che avrebbe dovuto completare da tempo tutte le misure di MISE a salvaguardia della falda acquifera e di tutte le altre matrici ambientali”, si legge nel documento, che evidenzia come numerosi interventi risultino “ancora in fase di esecuzione” o nemmeno avviati, come la copertura dei rifiuti con telo HDPE o la rete di captazione del biogas.

A preoccupare è soprattutto lo stato della falda acquifera: nei pozzi spia LPz-M e LPz-Dx sono stati riscontrati valori di manganese fino a sette volte oltre il limite normativo (50 µg/l), oltre a nitrati e tetracloroetilene – un solvente industriale cancerogeno – anch’essi oltre soglia. “La contaminazione emersa dalle campagne analitiche […] è causata, ancora oggi, proprio dalla discarica”, sottolinea Attiva Lizzano. Le analisi – 19 certificati in tutto – documentano un inquinamento ancora attivo, che l’ente proponente non sarebbe riuscito a contenere.

Nel mirino anche gli studi presentati da Lutum per ottenere il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR): secondo i tecnici di Attiva Lizzano, la modellazione degli odori esclude inspiegabilmente le vasche D, E e F e non considera l’idrogeno solforato (H₂S), responsabile principale delle molestie olfattive. “Il modello CALPUFF ha utilizzato genericamente il parametro ‘odore’”, si legge, “senza tenere conto delle proprietà chimico-fisiche specifiche dell’H₂S”, che ha una soglia di percezione estremamente bassa (4,7 µg/l) e può causare danni neurologici anche a concentrazioni moderate.

Ulteriore punto critico: le indagini geoelettriche e piezometriche che Lutum usa per escludere un legame diretto tra la discarica e la contaminazione della falda. Attiva Lizzano contesta la validità di questa lettura, affermando che “il flusso della falda subisce variazioni significative” e che “la contaminazione rilevata è attribuibile alla discarica, come mostrano le stesse mappe piezometriche del 2017”. Un’impostazione giudicata “strumentale” dai tecnici dell’associazione.

Il Partito Democratico di Lizzano, attraverso il documento firmato da Antonio Lecce, ha scelto un tono meno tecnico ma altrettanto deciso. Le osservazioni elaborate e inviate agli enti coinvolti mettono in dubbio la sostenibilità ambientale e amministrativa dell’intero progetto: “La riapertura significherebbe di fatto rinunciare all’obiettivo di bonifica dell’area”, si legge. Il PD denuncia la mancata conclusione della MISE, ricordando che “il sito è formalmente contaminato ai sensi degli artt. 242 e 245 del D.Lgs. 152/2006” e che “qualsiasi nuova attività sarebbe in contrasto con gli obblighi di risanamento”.

Inoltre, il documento evidenzia un’altra fragilità del progetto Lutum: le stesse relazioni tecniche, ammette il PD, dichiarano che “la manutenzione straordinaria e il ripristino della rete di raccolta del percolato sono ancora in corso” e che “la copertura dei rifiuti nella vasca B non è completata”. Questo, per il PD, “è indice di grave lentezza e inadempienza”, a fronte di un obbligo assunto nel 2020 attraverso un accordo transattivo con il Tribunale di Lecce.

La preoccupazione, infine, non riguarda solo il sito in sé ma anche il suo contesto. “La località Palombara è inserita in un’area agricola di pregio, in prossimità di vigneti DOC e pozzi usati per l’irrigazione e il consumo domestico”, ricorda il documento dem, segnalando anche la vulnerabilità del territorio al rischio idrogeologico e l’impatto dei trasporti: la riapertura comporterebbe il passaggio quotidiano di decine di camion su strade provinciali, aggravando un quadro ambientale già compromesso.

Se c’è un elemento che accomuna le due posizioni – quella civile e quella politica – è la convinzione che autorizzare oggi la riattivazione significhi “premiare” chi non ha ancora ottemperato agli obblighi di risanamento e, di fatto, spostare l’onere economico futuro sulle istituzioni pubbliche. “È inaccettabile – si legge nel documento di Attiva Lizzano – che si possa autorizzare l’esercizio di un impianto ancora inquinante, privo di presidi di sicurezza adeguati e con impatti sanitari documentati”.

Il prossimo passaggio sarà decisivo: il 3 luglio si terrà la seconda Conferenza dei Servizi, dove i pareri degli enti locali, se presentati entro il 27 giugno, potranno fare la differenza. Ma più che una scadenza burocratica, il termine è già diventato un banco di prova politico: l’eventuale silenzio dei comuni sarà inteso come assenso. E in un territorio che ha già pagato un prezzo alto in termini ambientali, nessuno potrà dire di non essere stato avvisato.


Discarica ex Vergine, il fronte del no si allarga: osservazioni tecniche e pressione civile contro la riapertura
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