Un confronto tra esperienze, un incontro tra persone

I volontari Acisjf vanno a incontrare esperienze importanti di  co-housing a Torino e a Milano

Prosegue l’impegno di Acisjf di realizzare, attraverso il progetto Ampliacasa, “reti permanenti per l’abitare sociale”. Nel febbraio scorso si sono svolte due giornate di formazione a Roma, per aiutare i volontari della rete a riflettere sull’idea – anzi, sulle idee – di co-housing e su come i diversi modelli in cui vengono declinate possano essere utili per rispondere alle differenti esigenze abitative e di autonomia di persone in condizione di fragilità. Ora la formazione continua, spostandosi sul piano del confronto diretto con alcune esperienze che possono trasferire saperi “vissuti”.

Per questo, il 18 e il 19 maggio un gruppo di volontari di diverse realtà locali di Acisjf, si recherà prima a Torino e poi a Milano.

Nel capoluogo Piemontese incontrerà “A casa di zia Jessy”, un’esperienza di condominio solidale nata nel 2008 per il co-housing di anziani e donne sole con figli o per giovani in uscita da percorsi di riabilitazione sociale. Sarà anche un’occasione per confrontarsi con altre esperienze, come “Coabitazione giovanile solidale”, che vede un gruppo di giovani alloggiare in un condominio di edilizia residenziale pubblica e, a fronte di uno sconto sull’affitto, offrire ogni settimana una decina di ore di volontariato a beneficio della comunità. O come “Casa delle opportunità”, che vede la coabitazione di tre giovani stranieri: due provenienti dal circuito penale e uno con background diverso, che funge da tutor all’interno della casa.

A Milano, il giorno dopo, il gruppo dei volontari di Acisjf visiterà l’Opera San Francesco, che ha attivato il cohousing  per donne ed uomini senza dimora tra i 25 e i 45 anni, anche coppie, e Progetto Futuro San Marco 49”, che ha offerto una soluzione abitativa a 18 senza fissa dimora, secondo il metodo dell’housing first lanciato dalla Fiospd (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora). Un’equipe di professionisti  esperti  ha attivato per ogni ospite un progetto individuale per accompagnarlo verso l’autonomia.

Layout 1Un altro momento significativo è l’apericena solidale del 18, che si svolgerà nel Centro San Francesco a Muggiò e che è organizzata dal “Gruppo di Acquisto Familiare – La famiglia porta valori in rete” (AFI Monza Brianza), con l’obiettivo di far incontrare due progetti diversi: il progetto Ampliacasa e il gruppo di Acquisto Familiare.

 

 

 

L’abitare condiviso aiuta a raggiungere la meta

Cagliari. Nella rete di Ampliacasa l’esperienza di Donne al Traguardo.

«Il traguardo è l’obiettivo che tutte le persone devono avere e che devi avere fisso davanti a te, per mantenere la rotta. Forse non lo raggiungerai mai, ma bisogna avercelo: questa è la differenza tra gli accattoni e i viandanti». Silvana Migoni è la presidente dell’associazione Donne al traguardo, nata nel 2001 a Cagliari per valorizzare la presenza femminile in tutti gli ambiti della società e per attivare forme di solidarietà nei confronti delle donne in difficoltà. All’inizio il circolo delle Donne al Traguardo era un centro di ascolto e un luogo in cui si organizzavano laboratori amatoriali aperti a tutti, ma subito venne organizzata una raccolta fondi con l’obiettivo di aprire una casa di accoglienza per donne in emergenza. Oggi Donne al Traguardo gestisce un centro antiviolenza e cinque strutture di accoglienza per donne in difficoltà, compresa una casa rifugio per quelle che hanno subito violenza. Dal primo gennaio il Comune di Cagliari ha stipulato una convenzione per un progetto per gli uomini senza fissa dimora e l’associazione punta ad aprire anche un dormitorio, grazie a un finanziamento della Fondazione Banco di Sardegna.

Abbiamo incontrato Silvana Migoni durante le giornate formative del progetto Ampliacasa, che si sono svolte a Roma il 16  il 17  febbraio 2018. Donne al Traguardo è infatti interessata al tema del co-housing anche perché l’abitare condiviso  è uno degli sbocchi che l’associazione ha individuato per permettere alle donne di raggiungere una piena autonomia.

La premessa è che l’associazione fa attività a 360°: prima accoglienza di donne in difficoltà, sostegno all’indigenza attraverso la raccolta e le redistribuzione di vestiti e beni di prima necessità, aggregazione sociale attraverso i laboratori e molte altre attività, accompagnamento al lavoro, sostegno psicologico attraverso i gruppi di auto mutuo aiuto. Insomma, cerca di articolare risposte diverse per bisogni diversi.

«Abbiamo cominciato un’esperienza di abitare condiviso per le donne, che dall’assistenza potevano passare all’autonomia. Mentre l’accoglienza nelle strutture è totalmente a nostro carico e ha un tempo limite (quattro mesi, che di solito è sufficiente per trovare soluzioni, anche se in alcuni casi – per esempio donne con le pene alternative al carcere o madri sole con neonati, i termini si possono allungare), qui le donne devono contribuire alle spese, e possono stare per un tempo illimitato».

Il problema è evitare che la condizione di “assistite” si cronicizzi: l’accoglienza fin dall’inizio ha l’obiettivo di riportare le persone all’autonomia. Per questo, «laddove ci sono fragilità di tipo economico, proponiamo di andare in appartamenti: li affitta l’associazione, che si intesta anche le utenze, sia perché queste persone non potrebbero avere un contratto d’affitto, in quanto non hanno una busta paga o un reddito, sia per stemperare possibili motivi di conflitto. Però loro devono contribuire alle spese. È quindi un abitare condiviso parzialmente sostenuto. L’abitare condiviso comunque consente di prendere la residenza».

Attualmente sono una dozzina le donne che fanno l’esperienza dell’abitare condiviso e in genere sono tre in un appartamento: «è un numero perfetto», spiega Migone, «perché due sono poche – se  si accende un conflitto è difficile risolverlo – mentre in tre la dinamica è più articolata».

La possibilità che scoppino conflitti c’è, ma si cerca di prevenirla con un’attenta fase di ascolto e valutazione, prima che inizi la convivenza.  «Molto dipende dalla nostra capacità, di capire se le diverse persone saranno in grado di convivere. È chiaro infatti, che si tratta di donne che vengono da storie di disagio più o meno intenso e tra l’altro non sempre, se c’è una patologia psichiatrica, emerge subito. Quindi molto dipende dal periodo di osservazione e dalle conclusioni che abbiamo tirato. Dopo, di solito, la convivenza funziona bene. Certo, abbiamo avuto anche persone molto particolari, come una donna che che aveva subito violenza e che aveva incubi, era sonnambula, gridava… All’inizio le donne che coabitavano avevano paura, poi si è chiarito qual era il problema e le cose sono andate meglio».

Il modello ormai è rodato, e gli esempi positivi sono molti. «Per esempio, c’è stato il caso di due donne con tre bambini: abbiamo fatto un progetto con un sostegno sul piano psicologico (una veniva dall’alcolismo, una da una storia di violenza di genere), e ha funziona bene: si aiutano, i bambini hanno legato tra loro». Adesso l’associazione sta allargando l’esperienza ad alcuni uomini senza fissa dimora.

A volte l’idea della coabitazione nasce dalle donne stesse e allora è tutto più facile. «Abbiamo donne che sono in casa rifugio in quanto vittime di violenza: spesso il progetto di andare a vivere insieme nasce proprio da loro. La diffidenza iniziale, che scatta quando si è accolti in una convivenza numerosa (la casa più grande che abbiamo accoglie anche 18 persone, più i bambini), si può superare. Si impara a conoscersi, ci si lega, si comincia a fare la spesa insieme, ad organizzarsi. Abbiamo accolto da poco una donna africana, tra l’altro molto intelligente, una mediatrice culturale. Nei gruppi di auto mutuo aiuto lei dice: qui è come essere in famiglia. Non è scontato, perché mettiamo insieme la donna nigeriana con bambini piccoli, quella italiana con bambini terribili, quella con il disturbo bipolare, quella senegalese sola… stiamo parlando di un disastro articolato, dove c’è di tutto. Ma raramente scatta il rifiuto».

C’è da dire che, quando passano all’abitare condiviso, le donne non vengono abbandonate: l’associazione continua a seguirle. Per esempio, continuano a partecipare ai gruppi di auto mutuo aiuto, come quelli per le donne vittime di violenza, che devono superare il trauma, oppure quelli di sostegno alla genitorialità. E usufruiscono delle varie forme di sostegno, compreso il vestiario… «Ma la nostra marcia in più», spiega la presidente, «è che offriamo un contesto. La violenza e il disagio nascono sempre da uno stato di profonda solitudine. Inoltre le persone, che hanno bisogno di aiuto, subiscono spesso lo stigma del pregiudizio, causato dalla povertà stessa (se sei povero è perché te lo sei voluto, è perché sei pigro, perché non sei capace…). Noi procuriamo un contesto aperto: tutte le nostre attività laboratoriali (una dozzina in varie discipline) sono aperte a tutti, quindi vieni perché vuoi farlo, esattamente come tutti gli altri, non perché hai bisogno. E trovi relazioni: l’aiuto viene accettato all’interno di una relazione: se non c’è è umiliante».

Per questo, il valore più importante è il tempo: «Il tempo di vita è limitato, per tutti noi, ma proprio per questo è la cosa più importante che possiamo condividere. Dare il nostro tempo è dare la nostra vita. Questo fa la differenza. Si entra in un rapporto educativo in cui c’è la libertà di dire alcune cose: “devi cambiare rotta”, perfino “devi fare lo shampoo”… Queste persone hanno bisogno anche di questo, perché nessuno ha mai detto loro cosa fare o cosa non fare. Ogni tanto serve una “scossa elettrica”, e all’interno di un rapporto vero ci sta anche la possibilità di una guida morale, che può dire adesso basta, devi uscire da questa dipendenza, devi trovarti un lavoro, devi darti da fare…». Perché non bisogna assuefarsi, adattarsi alla condizione di assistiti. «Alle nostre operatrici io dico sempre che noi dobbiamo fare i buttafuori: accoglienza sì, ma per “buttare fuori”, valorizzando le risorse delle persone», conclude Silvana Migoni.

Paola Springhetti

La sfida dei nuovi bisogni

Un gruppo di ricerca analizza le esperienze della rete di Acjsif per individuare un nuovo modello di co-housing.

Tiziana Tarsia, ricercatrice dell’Università di Messina, dove insegna Scienze del Servizio Sociale, fa parte del Gruppo di supporto alla costruzione del modello di co-housing, che è uno degli obiettivi del progetto Ampliacasa. Del gruppo fanno parte anche Antonella Sarlo, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, con Monica Musolino e Maria Giuffrida, esperte di co-housing.

Il motivo per cui un progetto come questo ha bisogno di un supporto scientifico è legato al fatto che «La questione dell’accoglienza in Italia ha una storia radicata e importante, che però in alcuni contesti rischia di irrigidirsi in forme, che non sono le più adatte a questi tempi», spiega Tarsia. «I bisogni sono cambiati e di conseguenza anche l’accoglienza deve trovare risposte a domande sempre più complesse. Il supporto scientifico serve a questo: prende situazioni concrete e le astrae, facendo riferimento ad un modello teorico, per poi ritornare alle esperienze con una visione più ampia».

Per questo il gruppo si è mosso, censendo le esperienze di accoglienza della rete di Acisjf – che sono otto – e inviando un questionario di rilevazione. Questa prima fase è appena terminata: «Stiamo iniziando a mettere a confronto i materiali che abbiamo raccolto, per cogliere punti comuni e differenze. L’obiettivo è individuare alcune prassi, che possano essere proiettate in un modello innovativo di co-housing», racconta Tarsia. «In attesa dei risultati, possiamo dire che le esperienze dell’Acisjf hanno una forte identità comune: hanno uno stile di accoglienza comune, anche se con differenze sui vari territori. Sono esperienze caratterizzate da proattività e dall’obiettivo di creare autonomia per le donne che vengono accolte».

Il passo dall’accoglienza al co-housing non è scontato.  Nel co-housing, infatti, «c’è la determinazione di più persone di mettersi insieme per costruire un progetto di vita comune ma di solito si tratta di persone autonome, non si tratta di persone con  bisogni legati a situazioni di svantaggio o marginalità. E infatti, se si guarda alle esperienze italiane, si scopre che il co-housing è un modello generalmente legato a persone di classe sociale medio-alta».

La scommessa, quindi, è capire come allacciare queste esperienze alle situazioni di fragilità di cui si occupa Acisjf, cioè persone – in particolare donne – che, almeno inizialmente, l’autonomia non ce l’hanno. «Questo è il punto – continua Tarsia –, oggi ci sono altri bisogni, per i quali il vivere insieme potrebbe essere una soluzione. Ma a quale condizioni?  La scommessa è collocare questa esperienza dentro percorsi che permettano alle persone di conquistarsela, l’autonomia, perseguendo un progetto di vita indipendente, che consenta un graduale distanziamento dall’assistenza e l’uscita dal sistema dei servizi».

L’analisi dei materiali raccolti dunque continua: i risultati saranno condivisi con i partner a febbraio, durante un apposito incontro formativo, nel frattempo si sta procedendo alla disamina delle varie buone pratiche di co-housing a livello nazionale, per poter avere un ventaglio ampio di riferimento.

Paola Springhetti

Messina: nuova rete dell’accoglienza

Nuova tappa nel cammino del progetto Ampliacasa: chiamate a raccolta tutte le realtà del territorio impegnate in servizi di accoglienza.

Venti volontari e diverse le realtà coinvolte per pensare ad una nuova rete dell’accoglienza per la città di Messina. Si è svolto lo scorso 9 aprile un incontro presso i locali della Casa di accoglienza per donne con bambini del C.I.R.S. Messina (Comitato Italiano Reinserimento Sociale). L’evento è stato promosso nell’ambito del progetto Ampliacasa, l’Acisjf per il cohousing – risposta innovativa delle reti di volontariato per l’accoglienza, sostenuto da Fondazione Con il Sud.

«Le associazioni presenti si occupano a vario titolo sul territorio di servizi d’accoglienza – spiega Lidia Beninati, presidente del gruppo Acisjf Messina Terra Solidale – in particolare vi erano il C.I.R.S. Onlus, l’Oratorio San Luigi Guanella, l’A.C.C.I.R. (Associazione Cattolica Culturale Italiana Radioperatori), la F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari), il Centro Aiuto alla Vita, Non solo 15 Onlus».

Al centro della condivisione un obiettivo primario: costruire una rete territoriale dell’accoglienza, attraverso la testimonianza delle esperienze peculiari che ciascuna associazione vive in prima linea.

«Ogni partecipante ha raccontato il proprio vissuto in merito al servizio svolto nell’associazione di appartenenza. È emerso un ampio panorama di esperienze rivolte a persone con disabilità, donne vittime di violenza, adolescenti con disagio sociale, ragazze madri, famiglie con bambini ospedalizzati, immigrati» commenta Beninati.

Tante realtà diverse ed eterogeneo il servizio di accoglienza offerto ma con un comune denominatore: «È emerso che accogliere è soprattutto accettare l’altro senza pregiudizio, dare ascolto alla sua richiesta di aiuto e sostenerlo nel cercare insieme le possibili soluzioni per affrontare e superare il disagio vissuto» conclude la presidente di Acisjf Messina Terra Solidale.

Da Messina è l’alba di una storia, quella di una rete pronta a rispondere alle nuove sfide dell’accoglienza.

Mariarosaria Petti

 

 

Acisjf Messina: per potenziare la capacità di accoglienza occorre fare rete

Il lavoro dell’associazione all’interno del progetto Ampliacasa, in una realtà dove la casa è un’emergenza.

L’Acisjf a Messina è una realtà giovane: l’associazione è nata infatti nel 2015, grazie al progetto Ampliarete, che aveva l’obiettivo di far crescere il volontariato nelle regioni meridionali. Ora il nuovo progetto, Ampliacasa, finanziato come il precedente da Fondazione con il Sud, aprirà una fase di crescita e di nuova progettualità.

«Siamo una piccola associazione di volontari con esperienze di impegno in diverse realtà, ma abbiamo deciso di metterci assieme per portare anche qui in Sicilia la mission di Acisjf», racconta la presidente Lidia Beninati. «In un primo momento, quindi, ci siamo dedicati a conoscere meglio la storia e la missione di Acisf, poi abbiamo organizzato una serie di incontri con altre associazioni per conoscerle e farci conoscere e alcuni eventi di promozione del volontariato e dell’agire sociale».

Ora Acisjf Terra Solidale (insieme ad Acisjf Cagliari e Acisjf Fata Morgana di Reggio Calabria) è uno dei tre partner al centro del progetto Amplicasa, che ha l’obiettivo di sperimentare e avviare forme innovative di accoglienza delle persone fragili, in particolare attraverso il cohousing. «A Messina c’è una grande emergenza abitativa», spiega Beninati. «Ci sono zone con strutture fatiscenti, che forse sarebbe meglio definire baracche. Alcune sono nate dopo il terremoto del 1908, e ancora esistono e sono abitate, a volte anche sovraffollate». Si tratta soprattutto di italiani e in misura molto minore di immigrati, ormai radicati, con seconde generazioni nate qui.

«Noi puntiamo a sensibilizzare le coscienze e anche a stimolare la partecipazione attiva attorno a questo problema», continua Beninati. «A Messina c’è una realtà di associazionismo molto ricca, e ci sono anche diverse esperienze di cohousing. Ma è una realtà frammentata: ogni associazione e ogni cooperativa ha una propria missione e un propria utenza. È importante mettersi in rete, anche per capire dove sono i “buchi”, gli spazi vuoti: è lì che dobbiamo agire. Per questo i nostri primi obiettivi sono quelli di formarci, da una parte, e di cominciare a costruire una rete, dall’altra: sono i presupposti per potere, in futuro, entrare veramente in campo. Il nostro sogno è di trovare una struttura nella quale realizzare un’esperienza innovativa di cohousing».

Acisjf Messina sta quindi seguendo gli step previsti dal progetto. A fine giugno c’è stata una prima presentazione di Ampliacasa con alcune associazioni, mentre a fine settembre si terrà un incontro pubblico più allargato, coinvolgendo tutti coloro che sul territorio si occupano di accoglienza.

E intanto si lavora sulla rete, con pazienza. «In teoria tutti ne condividono la necessità e sono disponibili, ma quando bisogna passare ad atti concreti, ci si scontra con la mancanza di tempo, con la differenza delle mission, con le priorità della propria associazione. Non è cattiva volontà: sono difficoltà oggettive. La mia esperienza però è che, se si creano occasioni vere, questi problemi si superano, perché tutti sappiamo che, di fronte a problemi comuni, è meglio unire le forze».

Il fatto di stare dentro un progetto come Ampliaca è uno stimolo, «e ci auguriamo che anche con l’aiuto di Acisjf Nazionale questa sia l’occasione giusta per concretizzare qualche cosa di significativo anche a Messina», conclude la presidente.

Paola Sprighetti

Ampliacasa

L’Acisjf per il co-housing: risposta innovativa delle reti di volontariato per l’accoglienza

Per le persone fragili, trovare un luogo da chiamare “casa” è fondamentale per poter conquistare stabilità e autonomia. Anzi, spesso è il punto fermo dal quale si può iniziare questo percorso.“Casa” è un luogo che dà sicurezza, in cui ci si sente a posto, in cui si stabiliscono relazioni, ci si aiuta reciprocamente, si cresce.

Il progetto

Il progetto AmpliaCasa è nato per sperimentare e avviare forme innovative di accoglienza, in cui le persone fragili – donne in particolare – trovino, oltre ad un tetto, un percorso di accompagnamento verso l’autonomia, in un’ottica di mutuo aiuto e di compartecipazione. Bisogna quindi individuare soluzioni di housing sociale che

  • abbiano tempi definiti,
  • siano sostenibili,
  • implichino la compartecipazione,
  • rispondano ai bisogni in modo flessibile
  • rafforzino i percorsi di autonomia.

Queste soluzioni in Italia sono ancora insufficienti, soprattutto nelle regioni del Sud.

Gli obiettivi

Per questo il progetto punta a:

  • costruire reti locali per l’accoglienza e l’housing sociale;
  • costruire una rete tematica nazionale ACISJF;
  • realizzare percorsi di formazione-intervento dei volontari delle reti per la conoscenza e l’approfondimento delle buone prassi di housing sociale;
  • progettare e sperimentare modelli e strumenti innovativi e sostenibili di housing sociale e dei possibili servizi di accompagnamento;
  • diffondere e condividere i valori e i modelli dell’housing sociale con le comunità locali e con la rete nazionale.

I protagonisti

Il progetto Ampliacasa – con il sostegno della Fondazione con il Sud – è ideato e realizzato da Acisif (Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane). Nata nel 1902, Acisjf è un’organizzazione non governativa, riconosciuta con statuti speciali sia presso il Consiglio d’Europa che all’Unesco. Attualmente è presente su tutto il territorio nazionale e cerca di rispondere ai bisogni di oggi con case famiglia, segreterie, mense, affidi diurni, doposcuola, centri di ascolto e servizi di stazione. Sono:

  • 15 le case di accoglienza e comunità per minori, per un totale di circa 600 posti letto.
  • 5.000 i giovani che segue attraverso gli uffici di stazione.
  • 20.000 i pasti gratuiti che distribuisce;
  • 15.000 le ragazze e i giovani donne in gravi difficoltà.

Il progetto coinvolge l’intera Acisjf nazionale, ma ne sono protagoniste in particolare: Acisjf Fata Morgana (Reggio Calabria), che tra le altre cose fa parte della rete locale che gestisce l’Help center Casa di Lena, attivo nella stazione centrale di Reggio Calabria.

Acisjf – Associazione di Reggio Calabria: 1962 al 2012 ha accolto in due gruppi appartamento giovani donne minorenni in stato di disagio. Oggi, dopo la cessione dei gruppi appartamento alle cooperative costituite dagli ex-dipendenti, supporta con i propri volontari l’azione svolta da altri componenti della rete, nell’accoglienza di donne in difficoltà.

Acisjf Cagliari, che contribuisce alla gestione di case protette presenti nel territorio ed è partner del progetto “Custodire la famiglia”. Inoltre promuove, finanzia e realizza iniziative informative e formative sui temi legati al disagio e svolge attività di studio e ricerca.

Acisjf Messina Terra Solidale è partner attivo in un’ampia rete locale per l’accoglienza e l’integrazione di persone fragili.