Quando fu il giorno della Calabria…

Il percorso del programma Pazzi per la Radio 2 Fuori la voce, incontra spesso la cultura come strumento efficace e potente di comunicazione sociale. E ancora di più essa diventa un momento di grande tensione morale quando la cultura assume il ruolo di “cultura alta” ovvero  espressione di sentimenti  e senso etico. In tal senso il programma radiofonico mantiene questa direttiva proponendo agli ascoltatori una lettura delle più belle poesie di grandi cantori calabresi. Fra questi Leonida Rèpaci.

download Leonida Rèpaci. – Scrittore italiano (Palmi 1898 – Roma 1985). Critico letterario (1921) dell’Ordine nuovo di Torino  e (1923-25) dell’Unità di Milano, , dopo la Liberazione fu condirettore del quotidiano Il Tempo  e direttore dell’Epoca di Roma; fu tra i fondatori (1929) del premio letterario Viareggio, che presiedette dal 1946. Dopo alcuni volumi di versi (Il ribelle e l’Antigone, 1919; Poemi della solitudine, 1920) esordì come narratore col romanzo L’ultimo Cireneo (1923), nel quale il proposito realistico si accompagna al gusto per i risalti drammatici. Scrisse per il teatro (La madre incatenata, 1926; Il peccatore, 1928) e concepì un ampio ciclo romanzesco sulle fortune di una famiglia calabrese dai primi del Novecento: I fratelli Rupe (1932), Potenza dei fratelli Rupe (1934) e Passione dei fratelli Rupe: 1914 (1937), poi rielaborati in Storia dei fratelli Rupe (1957); il ciclo venne successivamente ampliato nella quadrilogia Storia dei Rupe (1969-73). Le qualità migliori di R. paiono però rivelarsi in romanzi e racconti di più intima ispirazione, come Racconti della mia Calabria (1931), Un riccone torna alla terra (1954), Il pazzo del casamento (1958), Magia del fiume (1965). Negli ultimi anni tornò a dedicarsi alla poesia (Poemetti civili, 1973; Mamma leonessa, 1984). Pubblicò numerosi volumi di saggi (Ricordo di Gramsci, 1947; Teatro d’ogni tempo, 1965)

imagesQuando fu il giorno della Calabria, Dio si trovò in pugno 15 mila Kmq di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese per due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un vigore creativo, il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi.

Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto, allo Stretto il pescespada, a Scilla le sirene, a Chinalea le palafitte, a Bagnara i pergolati, a Palmi il fico, alla Pietrosa la rondine marina, a Gioia l’olio, a Cirò il vino, a Rosarno l’arancio, a Nicotera il fico d’India, a Pizzo il tonno, a Vibo il fiore, a Tiriolo le belle donne, al Mesima la quercia, al Busento la tomba del re barbaro, all’Amendolea le cicale, al Crati l’acqua lunga, allo scoglio il lichene, alla roccia l’oleastro, alle montagne, alle montagne il canto del pastore errante da uno stazzo all’altro, al greppo la ginestra, alle piane la vigna, alle spiagge la solitudine, all’onda il riflesso del sole. Diede a Cosenza l’Accademia, a Trppea il vescovo, a San Giovanni in Fiore il telaio a mano, a Catanzaro il damasco, ad Antonimina il fango mendicante, ad Agnana la lignite, a Bivongi le Acque Sante, a Pazzano la pirite, a Galatro il solfato, a Villa San Giovanni la seta greggia, a Belmonte il marmo verde. Assegnò Pitagora a Crotone, Orfeo pure a Crotone, Democede pure a Crotone, Alcmeone pure a Crotone, Aristeo pure a Crotone, Filolao pure a Crotone, Aristeo pure a Crotone, Zalòeuco a Locri, Ibico a Reggio, Clearco pure a Reggio, Glauco a Reggio, Cassiodoro a Squillace, San Nilo a Rossano, Gioacchino da Fiore a Celico, Fra Barlaam a Seminara, San Francesco a Paola, Telesio a Cosenza, il Parrasio pure a Cosenza, il Gravina a Roggiano, Campanella a Stilo, Padula ad Acri, Mattia Preti a Taverna, Galluppi a Tropea, Gamelli Careri a Taurianova, Manfroce a Palmi, Cilea pure a Palmi, Alvaro a San Luca , Calogero a Melicuccà.

Donò a Stilo la Cattolica, a Rossano il Patirion, ancora a Rossano l’Evangelario Purpureo, a San Marco Argentano la torre Normanna, a Locri i Pinakes, ancora a Locri il Santuario di Persefone, a Santa Severina il Battistero a Rotonda, a Squillace il Tempio della Roccelletta, a Cosenza la Cattedrale, a Gerace pure la Cattedrale, a Crotone il Tempio di Hera Lacinia, a Mileto la Basilica della Trinità, a Santa Eufemia Lamezia l’Abbaziale, a Tropea il Duomno, a San Giovanni in Fiore la Badia Florense, a Vibo la Chiesa di San michele, a Mileto la Zecca, a Nicotera il Castello, a Reggio il tempio di Artemide Facellide, a Spezzano Albanese la necropoli della prima età del ferro.

Poi distribuì i mesi e le stagioni alla Calabria. Per l’inverno concesse il sole, per la primavera il sole, per l’estate il sole, per l’autunno il sole. A gennaio diede la castagna, a febbraio la pignolata, a marzo la ricotta, ad aprile la focaccia, a maggio il pescespada, a giugno la ciliegia, a luglio il fico melanzano, ad agosto lo zibibbo, a settembre il ficodindia, a ottobre la mostrada, a novembre la noce, a dicembre l’arancia.

Volle che la madri fossero tenere, le mogli coraggiose, le figlie contegnose, i figli immaginosi , gli uomini autorevoli, i vecchi rispettati, i mendicanti protetti, gl’infelici aiutati, le persone fiere leali socievolie ospitali, le bestie amate.

Volle il mare sempre viola, la rosa sboccainte a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, l’acqua abbondante, il clima mite, il profuno delle erbe inebriante.

Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il signore fu preso da una dolce sonnolenza in cui entrava la compiacenza del Creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, il feudalesimo, le fiumare, le alluvioni, la peronospera, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione.

Dopo le calamità le necessità: la casa, la scuola, la strada, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio. E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno, mentre si svegliava il Signore.

Quando aperti gli occhi, potè abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi lentamente rasserenandosi disse: “ Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto. “Utta a fa journu c’a notti è fatta”. Una notte che contiene già l’albore del giorno.

Da “ Calabria grande e amara” di Leonida Rèpaci

 

 

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