La radio: pragmatica e camaleontica

Data per spacciata una prima volta con l’arrivo della televisione, l’invenzione geniale di Marconi resta in ottima salute. Dopo oltre un secolo di vita sta dimostrando di sapersi adattare perfettamente alla stessa rivoluzione digitale. I dati la premiano: ascolti, pubblicità e credibilità continuano a crescere. E il suo potere persuasivo resta intatto: negli Usa può cambiare le sorti della Casa Bianca, a Roma decide spesso il destino degli allenatori di calcio

ROMA – Di epigrammi accorati, fiammeggianti, densi di dolore sulla sua possibile tomba, la radio ne ha dovuti ascoltare parecchi nella sua lunga vita. Una vita che alcuni in Italia vogliono far cominciare non tanto 91 anni fa, da quel 6 ottobre 1924 quando ci fu l’inizio ufficiale delle prime trasmissioni dell’Unione Radiofonica Italiana, poi Eiar e poi ancora Rai. No: c’è chi vorrebbe scrivere come data della sua venuta al mondo in Italia  l’8 dicembre del 1895, 120 anni fa esatti, quando Guglielmo Marconi fece trillare tre volte un campanello posto a distanza a Villa Grifone nella località che ora si chiama Sasso Marconi. Insomma, è successo in diverse occasioni in tutto questo tempo, di sentirsi trattare come un’anziana e gloriosa combattente, sul punto di essere seppellita da logiche iper-neoliberiste sull’infallibilità del mercato.

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Sussulto di vitalità. Momenti tristi, dunque, per la radio ce ne sono stati. Ad esempio, anche a metà degli anni Cinquanta, con l’inizio della programmazione Tv. Ma poi nel corso degli anni successivi, in un’altalena di “svenimenti” e “rianimazioni”, quando ha dovuto superare fasi in cui è sembrata lì lì per lasciarci o comunque finire nell’ombra. Un vero sussulto di vitalità ci fu poi all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale del 1976, la numero 202 del 28 luglio. Cominciava la stagione delle “Radio Libere”. Che fino ad allora trasmettevano sfruttando un’interpretazione estensiva della legge allora vigente, la 103 del 1975, col rischio di denunce e sequestri. Nonostante tutto però, molte radio trasmettevano con regolarità. Solo a Roma, alla fine del 1975, ce n’erano già una dozzina in piena attività. L’ultima volta che il respiro della Radio s’è di nuovo fatto pesante, fu agli inizi negli anni ’90, quando – ancora una volta – le Tv commerciali sembrava stessero per sferrare il colpo finale e definitivo al medium più antico dell’era moderna.

E invece no. Gli anni successivi a quell’ultima stagione un po’ opaca hanno al contrario segnato una rimonta impressionante delle emittenti. L’ultima testimonianza viene da una ricerca della Gfk Eurisko e dalla Ipsos, dal titolo che annuncia già il senso e l’esito del sondaggio: “Come afferrare Proteo”, il personaggio mitologico dalle forme mutevoli, capace di adattarsi con rapidità ai cambiamenti attorno a lui.

Nessun dubbio. Le analisi delle due società di rilevamento non lasciano dubbi. Dicono e ribadiscono che la radio ha tutti i connotati per essere definita “immortale”, proprio grazie alla sua capacità di adeguarsi al mondo che la circonda. Un mondo geneticamente e tecnologicamente mutato, ma nel quale ha saputo convivere con discrezione assieme agli altri strumenti di comunicazione. Ma nello stesso tempo prosperando sulla nuova scena digitale, esibendo numeri che mostrano una crescita costante e, ciò che secondo gli analisti conta di più, aumentando la sua credibilità nella percezione diffusa tra il pubblico. Ha più valore un “… l’ha detto la Radio” che un “… l’ho sentito alla Tv”. Lo confermano le statistiche.

La ricerca Eurisko-Ipsos s’è svolta tra l’aprile e il maggio scorsi su un campione rappresentativo di 52.903.250 cittadini italiani, circa l’84% della popolazione residente nel nostro paese. I dati più importanti ci parlano della tenace resistenza della radio alle “intemperie” e alle “traversie” incontrate lungo la sua lunga storia. Un mezzo capace di resistere all’urto con l’era digitale, confermandosi un “mezzo di tutti”, che vanta una platea complessiva di oltre 35 milioni di persone al giorno, all’interno della quale vive un target pubblicitariamente assai pregiato.

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Crescita. Così la radio fa gola agli inserzionisti e ai pubblicitari, proprio perché cresce tra segmenti di pubblico più esposti alle nuove tecnologie, come i giovani. Il sondaggio ci dice infatti che per il 50% dei ragazzi tra 14 e 17 anni e il 47% dei 18-24enni l’ascolto della radio è in aumento rispetto a 3 anni fa. Un altro dato assai interessante è che il 90% di chi ascolta la musica attraverso supporti digitali, ascolta anche la radio, con i giovani che stanno mostrando di farlo con maggiore intensità rispetto al passato.

Dice Giorgio De Rita, segretario generale del Censis: “La Radio attira e accresce i suoi ascoltatori con un miscuglio tra continuità con il passato, semplicità d’uso e capacità di trovare ospitalità nei nuovi strumenti della società dell’informazione. Sta giocando una scommessa con il futuro – aggiunge De Rita – esibendosi su tanti fronti e cerca di ricavare dal proprio successo di ascolti una nuova capacità d’integrazione nel mondo dei nuovi media, facendosi carico di una società che ha cambiato il proprio modo di fare coesione sociale”.

Qualità. Giorgio Simonelli, docente al corso di laurea di “Linguaggi dei Media” alla Cattolica di Milano, riflette sui livelli di qualità che la radio deve mantenere, curando sempre di più i contenuti, con una più evoluta cultura della programmazione. Cita prodotti radiofonici capaci di “produrre un alto grado di partecipazione emotiva e coinvolgimento intellettuale”. Un’attenzione particolare Simonelli la dedica all’audience radiofonica, citando il libro di Enrico Menduni (“Il mondo della Radio. Dal tansistor ai social network”, il Mulino)”. Sarebbe nato, insomma, un nuovo tipo di pubblico definito “reticolare”, il quale “benché minoritario rispetto a quello tradizionale analogico rappresenta una realtà fondamentale, perché anche se non è in grado di generare valore economico, è comunque decisivo nella produzione di quello che Danah Boyd (studiosa statunitense esperta di media e del loro rapporto con i giovani ndr) definisce ‘capitale reputazionale’, per cui il pubblico della radio si misurerà sempre meno in base a logiche di massa numerica e sempre più in termini ‘reputazionali’, appunto, attraverso strumenti assai vicini alla sfera sentimentale”.

La prova simbolica della vitale longevità della radio e della sua inesauribile capacità di stupire e di generare gioie, ma anche tensioni e paure, viene da un ormai celeberrimo programma del 1938, La guerra dei mondi, uno sceneggiato radiofonico della CBS, protagonista Orson Welles. È rimasto un caposaldo della radiofonia di tutti i tempi, perché il perfetto realismo dell’interpretazione del grande attore e regista scatenò il panico tra la gente, dopo che Welles annunciò un’invasione di alieni, scesi sulla Terra con diverse astronavi, dalle parti di Grovers Mill, nel New Jersey. Furono in molti a non capire che si trattava di una finzione, nonostante dai microfoni della CBS, sia prima che dopo quella storica puntata del 30 ottobre, fossero stati diffusi avvertimenti che ricordavano, appunto, che si trattava solo di uno sceneggiato radiofonico.

Merito. Nel corso del tempo è a personaggi e programmi di quella potenza che va attribuito il merito di aver creato, giorno dopo giorno, la fedeltà d’ascolto necessaria a generare la comunità di riferimento di ogni emittente. Di esempi nati sulle nostre onde hertziane e che hanno fatto la storia della radio italiana, ce ne sono numerosi. Rosso e Nero, tanto per citarne uno, che tenne per anni incollati all’apparecchio milioni di italiani il giovedì sera; ma poi tanti altri “monumenti” della radiofonia nazionale, come la Hit Parade di Lelio Luttazzi, Bandiera Gialla, Il Gambero, Alto Gradimento, Chiamate Roma 3131, Fabio e Fiamma la trave nell’occhio, Raistereonotte… fino al Ruggito del Coniglio, Caterpillar e 610 di Lillo e Greg, solo per citarne alcuni, così, un po’ a casaccio. Ecco, oltre a questi esempi ci piace ricordarne un altro, che arriva dagli States, Arkansas. Si chiama Sonny Payne, ha 85 anni suonati, ed è ancora oggi, dopo 60 anni, al microfono di King Biscuit Time, un programma trasmesso da un’emittente della città di Helena. Il vecchio Sonny è lì tutte le sere a trasmettere ottimi blues, a dialogare con i suoi ascoltatori e, probabilmente, anche ad invitarli a gridare assieme lui, ogni tanto: “Viva la Radio”.

di CARLO CIAVONI

Articolo tratto da Repubblica R’E  Le Inchieste

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