La comunicazione sociale: uno sguardo oltre

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Durante il corso di formazione sulla comunicazione sociale, corso di formazione che è stato parte integrante del nostro percorso progettuale, abbiamo avuto modo di approcciarci  a questo testo del Prof. Sandro Stanzani, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona. Il brano, dal titolo “Terzo settore e comunicazione, ovvero: qual è il sociale della comunicazione?” ci è sembrato particolarmente interessante. Questa è la prima parte. Prossimamente inseriremo le pagine successive.  Premessa Da circa un decennio a questa parte il tema della comunicazione ha conosciuto un più acceso interesse da parte delle scienze sociali e dell’opinione pubblica, tant’è che si connota la società contemporanea come società della comunicazione, mentre le scienze psicologiche, quelle economiche e quelle politiche riflettono sulle ricadute che la comunicazione ha sul benessere soggettivo, così come sul successo politico dei leader o sul risultato economico organizzativo delle imprese. In un tale panorama, anche un altro fenomeno sociale, oggetto di particolari attenzioni nel corso degli anni 80 e 90 e giudicato da scienziati, politici ed operatori depositario di importanti capacità innovative, non poteva non fare i conti con il tema “gemello” della comunicazione. Ci riferiamo al caso del terzo settore, privato-sociale, che, guadagnando consensi e interesse da parte di molti attori sociali, ha visto gli studiosi di comunicazione e di marketing interessarsi al fenomeno ed utilizzare gli strumenti concettuali elaborati dai communication studies con l’intenzione di promuovere l’emergenza del nuovo settore sociale. Agli occhi di un osservatore “esterno” una tale operazione è parsa, in alcuni casi, fuorviante perché gli schemi teorici adottati sono stati ottenuti attraverso la ricerca sui processi comunicativi ed organizzativi generati e sviluppati nell’ambito delle organizzazioni for profit e poi, in un certo senso, “appiccicati sopra” le dinamiche comunicative del terzo settore. Ritorna alla mente il titolo di un vecchio libro:“Teoria della società o tecnologia sociale?” attraverso il quale uno degli autori (Jurgen Habermas) attirava l’attenzione sul rischio che corrono le scienze sociali di applicare i risultati delle loro ricerche alla sfera sociale producendo delle tecnologie sociali che non si interrogano sulle conseguenze inerenti le relazioni umane. Con questo articolo intendo “scongiurare” il rischio di un tale isomorfismo comunicativo tra i vari settori della società (Stato, mercato, e privato sociale) e contribuire alla riflessione sulla specificità comunicativa del terzo settore.

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Tra tanti tipi di comunicazione alla ricerca del “sociale” della comunicazione

Il pensiero riflesso dell’umanità ha da sempre riflettuto sul tema della comunicazione fornendo una serie notevole di prospettive d’osservazione. Certamente il risultato più eclatante del pensiero riflesso sulla comunicazione è stato l’invenzione della comunicazione mediata, realizzata principalmente con l’invenzione della scrittura e raffinata poi attraverso l’invenzione della stampa e dei mezzi di comunicazione di massa. L’effetto è stato ovviamente quello di moltiplicare le possibilità comunicative dell’umanità, cosicché oggi ci troviamo di fronte a tantissimi tipi di comunicazione, che gli stessi communication studiesfaticano a codificare e a interpretare.
Tuttavia pur nella molteplicità e nella complessità delle dinamiche di sviluppo della comunicazione mediata sembra di poter rintracciare una sorta di sottofondo comune che funge da motore dei processi: si tratta della autonomizzazione degli attori della comunicazione e della comunicazione stessa. Oggi quando si parla di “società in rete” o di “società della comunicazione”, di “società della mente”, di “intelligenza collettiva”, di “identità virtuali” e di “esseri digitali”, si ha in mente una società nella quale vi sono sempre più comunicazioni mediate che si autonomizzano dalle relazioni e dai legami sociali della vita quotidiana, così come dalle istituzioni sociali e culturali . Uno degli esempi più eclatanti di autonomizzazione delle comunicazioni dalle relazioni e dai legami sociali è certamente “second life”, un originale gioco in 3D nel quale, in virtù del sistema di comunicazione fortemente autonomo che è la rete, i partecipanti (al momento si parla di 6milioni di giocatori) assumono un’identità virtuale, divengono degli “esseri digitali”, con una vita propria (una seconda vita, liberata da vincoli materiali, relazionali, istituzionali, culturali, etc.) in un “meta mondo”. Ma anche forme più “normali” di comunicazione tramite internet presentano forti tratti di autonomia dai legami sociali, culturali, morali e giuridici, si pensi alle chat line, ad altri giochi interattivi, ed alle molteplici ribalte per la presentazione (e talvolta per la creazione) del self tramite testi e filmati, ad esempio attraverso i blog od altro, che consentono la realizzazione di molteplici incontri casuali nella vita quotidiana mediata. Si tratta di altrettante occasioni per favorire un aumento delle possibilità di comunicazione, per rendere queste ultime sempre più numerose, fluide, flessibili e probabili. Il grande progresso della comunicazione mediata ha reso più indipendenti emittente, ricevente e lo stesso messaggio coinvolti nel processo di comunicazione. Nella comunicazione mediata non è possibile reperire le informazioni emergenti dall’interazione faccia a faccia, il tutto avviene nel messaggio enunciato, tutte le informazioni si riassumono in esso, che acquista così una certa autosufficienza e autoreferenzialità, divenendo tuttavia il veicolo attraverso il quale sono simbolizzati e rappresentati i simulacri dell’emittente e del ricevente , per ciò stesso presenti nel processo comunicativo solo come simulacri, e non come soggetti in interazione. Un tale processo di autonomizzazione delle dinamiche della comunicazione ha consentito il moltiplicarsi delle possibilità di comunicazione, generando molte più possibilità di esperienza, di azione e di relazione sociale dalle quali tutti noi oggi traiamo vantaggio. Tuttavia ha, in un certo modo, trascurato gli aspetti di reciprocità e di legame sociale che, come sanno i sociologi dalle origini della disciplina (si vedano, ad esempio, i lavori di Weber e Simmel) sono impliciti nelle relazioni sociali. Una tale trascuratezza degli aspetti di reciprocità della relazione è talvolta foriera di problemi, di effetti negativi e perversi per la vita umana in società. Quando le scienze sociali e della comunicazione affermano che “occorre comunicare per esistere” o che “le cose non comunicate non esistono”, condannano chi comunica, e le cose che comunica, ad un sottofondo nichilista o nel migliore dei casi ad un’originaria condizione di isolamento. Estremizzando, sembra di poter dire che dal punto di vista della società oggetti e soggetti sociali si trovano privati 
della loro esistenza e possono essere portati alla luce solo dalla potenza creatrice della comunicazione.

 

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