Il viaggio dei migranti: Kakum e Lampedusa. Due tappe di un miraggio.

In occasione della tragedia del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita circa 400 migranti al largo delle coste di Lampedusa, il Centro Interculturale Officine Gomitoli ha ospitato un evento-dibattito sul viaggio dei migranti, in cui è stato proiettato, con la presenza del regista, il film “The Invisible City” sulla realtà di Kakuma (in Kenia) uno dei campi profughi più popolosi del mondo, svelando le reali dinamiche interne al campo profughi.

Attraverso le storie di bambini/e ragazzi/e che hanno perso il contatto con i propri genitori, il film-documentario racconta il campo di profughi che e stato costruito nel mezzo del deserto Turkana, in cui molti dei suoi nuovi arrivati sono appunto bambini inviati dai loro genitori che abitano nelle zone di conflitto.

Nella discussione scaturita dopo la visione del film, moderata da Glauco Iermano (responsabile area Minori Stranieri Non Accompagnati della cooperativa Dedalus) e con la presenza del regista  Lieven Corthouts, i/le ragazzi/e del Liceo P.Villari (che hanno assistito alla proiezione) hanno riflettuto ad alta voce sulle vite di questi/e bambini/e che afferrano tutte le opportunità nel campo per ricostruire la loro vita.

Una riflessione ad alta voce su dei/delle ragazzi/e che, loro coetanei, si trovano a dividersi tra il desiderio di studiare, la necessità di trovare un lavoro ed anche di costruire la propria casa.

#OfficineGomitoli

glauco                                                          glauco2

IMG_8743 IMG_8751 IMG_8755 IMG_8757 IMG_8758 IMG_8763                                                          IMG_8764

Per Tessere Idee: Officine Gomitoli presenta “Corpus Comune” di Marisa Albanese

In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno, nei locali del centro interculturale “Officine Gomitoli”, la Coop. Dedalus di Napoli, è lieta di ospitare Marisa Albanese, artista visiva, che presenta Corpus Comune, un articolato progetto nomade partito da Lampedusa che ripercorre virtualmente e fisicamente le rotte degli immigrati.

Corpus Comune è partito da Lampedusa, il luogo simbolo, iperluogo dell’evento migratorio. Lampedusa è il porto di approdo, il posto in cui si arriva per primi, se ci si arriva, e da cui si vuole spostare via per altremete, per avere una vita differente, un destino migliore. Lampedusa è il simbolo dello sbarco, la prima tappa dell’arrivo, e proprio da lì, è iniziato il progetto. La prima parte sull’isola si è svolta con notevoli difficoltà. Prima una breve visita all’Hotspot dove, straordinariamente, l’artista è riuscita a entrare e scattare delle foto. Successivamente, si è tenuto un laboratorio artistico ospitato dal Centro Studi Ibby, no profit organization, con un gruppo di migranti dai 16 ai 27 anni, provenienti da Gambia, Sudan, Darfur… Giorni in cui ci si è incontrati per conoscersi, parlare, disegnare, costruire forme, portare la mente in un vuoto fertile e dare spazio alla creatività.

Nel corso del laboratorio a Lampedusa si sono prodotti opere pittoriche e scultoree, lavori che sono già parte integrante del Corpus Comune.

La seconda parte del percorso si inaugura, non a caso, nella Giornata Mondiale del Rifugiato indetta dalle Nazioni Unite per ricordare la data di approvazione, nel 1951, della Convenzione sui profughi da parte dell’Assemblea generale dell’ONU.

Questa fase prevede un laboratorio con cadenza bisettimanale per il mese di giugno, da riprendere poi in settembre. Il laboratorio di scultura sarà ospitato nel salone centrale di Officine Gomitoli ospiterà un laboratorio di scultura diretto da Marisa Albanese con rifugiati e migranti di ogni età e nazionalità seguiti da varie associazioni attive sul territorio. Si racconteranno storie. Si cercherà di esplorare l’immaginario e la creatività di persone partite alla ricerca di un luogo migliore da abitare e le loro testimonianze. Lo si farà attraverso dei manufatti, con un approccio istintivo, spontaneo, condiviso, capace di superare barriere linguistiche, timidezze e sfiducia.

Il progetto Corpus Comune muove dall’attenzione che da sempre l’artista ha posto nei confronti delle questioni identitarie e delle problematiche sociali e che nei lavori degli ultimi anni si è concentrata sui fenomeni delle migrazioni. Lo sguardo si è focalizzato sui mutamenti intervenuti nello sviluppo della società occidentale nel rapporto uomo/natura e sul portato culturale che inevitabilmente tali migrazioni producono; a fianco di una prospettiva che vede nell’accelerazione dei movimenti migratori una questione da gestire sia sul piano umanitario, sia su quello politico per renderla non più solo un “problema”, ma soprattutto un’opportunità di vita per milioni di persone, vi è anche l’inevitabile constatazione che la cosiddetta “crisi umanitaria” segni, soprattutto, l’emergere di una crisi radicale di un modello di vita e di relazione con gli altri fondato sul dominio e sullo sfruttamento, modello che ha governato per secoli il pensiero – e la pratica – della società occidentale. I rifugiati sono la cartina di tornasole di una crisi forse irreversibile di un modello di società e di visione del mondo che ha confuso l’ottimismo della globalizzazione con forme antiche e nuove di sfruttamento. Il lavoro di Marisa Albanese pone questo evento epocale in relazione con temi quali il movimento dei corpi, lo spostamento e il flusso di energia e le ripercussioni socio-politiche sulla nostra società di un mondo non più eurocentrico ma obbligato a “sentire” e vedere come parte di sé l’altro che arriva.

Temi e prospettive che sono coerenti con le modalità che da sempre la Dedalus utilizza nel suo lavoro quotidiano con le persone migranti, fuori da logiche meramente assistenziali, ma centrate sulla partecipazione e l’emancipazione delle donne e degli uomini che entrano in contatto con i servizi. Così come “Officine gomitoli” vuole essere luogo, anche in questo caso in modo coerente all’esperienza artistica di Marisa Albanese, dove l’incontro tra differenze produce bellezza e cultura, diventa occasione di benessere per tutta la comunità.

Questo percorso che avrà altri step, in altri luoghi e in altri Paesi, seguendo anch’esso il proprio destino nomade, non solo vuole denunciare, ma, soprattutto, ritrovare altre forme di vita, dignità non ancora spezzate, presenze che si consegnano alla vita.

«Umuntu ngumuntu ngabantu» «Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo» (motto dell’etica filosofica Ubuntu)